I Meth (lo scrivo così ma è meth.) arrivano da Chicago e in foto li vediamo belli sorridenti con un fiore in mano. Questo è il loro secondo disco che segue di cinque anni l'ottimo "Mother Of Red Light", pubblicato sempre da Prosthetic. Così su due piedi potremmo pensare che siano il classico gruppo metalcore moderno. E, invece, Shame parte con dei bordoni di chitarra cupi e ribassati che mettono in chiaro che la band è qui per fare male. Molto male. Lo so che è un paragone fastidioso ma dal dolore che sono in grado di sprigionare mi vengono in mente i Daughters, soprattutto per il loro scavare nei meandri della psiche cercando il disagio più vero. Musicalmente però siamo in una tundra: ghiaccio, muschi e nessuna vegetazione definibile tale. Cosa voglio dire? Che l'ascolto di "Shame" non lascia spiragli di benessere. Come nella tundra che è sempre sottozero ed è quindi totalmente inospitale anche l'ascolto del disco è fastidioso, senza uno spiraglio melodico, un timbro piacevole, un ritmo memorabile. Meth ti avvolge con la sua violenza e la sua paranoia nel tentativo di esorcizzare disagio e fastidio.
Riff ribassatissimi, batteria devastante suonato in un genere modello a loro piacimento a cavallo fra post-hardcore, post-metal, black metal e noise. Un disco necessario per loro e per chi è in grado di sopravvivere in una tundra.
[Dale P.]
Canzoni significative: Cruelty, Shame.
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