Non ci sono parole adeguate per spiegare Carboniferous. Basta dire che suona esattamente come un disco intelligente del 2009, un disco che verrà criticato dal "passato che cerca di impedire il futuro", un disco che suona come la somma di tutto quello che esiste di bello nella musica. Oggi.
Già Klu Klux Klowns dei "Black Engine" (Zu + Eraldo Bernocchi) suonava come una svolta metal per il trio romano ma, pur essendo un ottimo disco il sottoscritto sapeva che per la band principale di Pupillo e compagni avrebbero estratto qualcosa di infinitamente meglio. E badate bene: infinitamente.
Svolta metal. Mentre i nostri genitori sono distratti da Vespa, Mentana e Bonolis la nostra generazione non sta meglio: musica ruffiana spacciata per indie, pop spacciato per emo, spazzatura spacciato per nuovo trend. Certe band, per fortuna riescono a stare al di fuori di ogni genere: Meshuggah, Mastodon, Melvins, Kylesa, Baroness, Om, sono i primi che mi vengono in mente. Zu. Carboniferous.
Sette anni sono passati dal loro disco precedente. E più di dieci dischi fra split, collaborazioni e quant'altro. Infiniti tour in giro per il mondo. Un ritmo che li rende i Black Flag di oggi.
E questo disco è nero, eccitante, cervellotico e ballabile. Eccitante soprattutto. Indecifrabile e indescrivibile.
Il jazz-core è morto. Ma il jazz-core è musica che suona vecchia di dieci anni fa. Gli Zu di oggi sono un mostro sonoro inafferabile che si fa gioco di tutto, che tritura ascolti e intuizioni e li rende un monolite nero da adorare.
Carboniferous è un disco che diventa riferimento nella musica mondiale. Noi non abbiamo altro da aggiungere.
Ah i contributi esterni: Giulio Ragno Favero al suono, alla chitarra e oscillatori, King Buzzo alla chitarra, Mike Patton alla voce e Alessandro “Pacho” Rossi alle percussioni.
[Dale P.]
Canzoni significative: tutte.
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