Farsi produrre da Steve Albini va ben oltre ad una scelta di trend. Anzi, se sei un gruppo mainstream, è la scelta per farti accettare dall'underground. Successe ai Nirvana, ci provarono i Bush. Capita quotidianamente all'ex Big Black di dover fare i conti su chi cerca l'Albini producer o l'Albini imperatore dell'underground.
Gli Zao sono una delle band di punta del metalcore. Con l'ultimo "The Funeral Of God" addirittura subirono un esposizione mediatica non indifferente. Fra il crescente interesse dei media nei confronti del metalcore (quello che i DRI facevano vent'anni fa e chiamavano "Crossover") e il gran parlare sulle band cristiane, gli Zao arrivarono ad un bivio: capitalizzare o buttarsi nella fogna.
Con la formazione ridotta all'osso entrano ai Reciprocal Studios di Steve Albini, attaccano gli strumenti e preparano un disco tiratissimo. Dimenticate la muscolarità di "The Funeral Of God", in cui i nostri inspessirono la propria musica con testosterone. Qui siamo all'essenza. Una sola chitarra, voce grezza, e una serie di brani "in your face".
Certamente, l'album in questione può essere visto come un passo indietro rispetto alla maturità raggiunta dal precedente. Basti pensare che in "The Fear Is What Keeps Us Here" non c'è una nuova "Psalm Of The City Of The Dead", apice di quello che è stato il vero superamento dell'hardcore.
Zao avevano bisogno di ricominciare, per l'ennesima volta. Addirittura abiurando certe caratteristiche del loro suono. Cercando ispirazione nel complesso mondo hardcore in cui convivono sia Neurosis che Dillinger Escape Plan che Converge.
"The Fear Is What Keeps Us Here" ci offre l'ennesima prova che amare gli Zao è amare una creatura viva, pulsante e disturbante nei propri errori.
Quante band offrono la propria vita nei solchi di un album?
[Dale P.]
Canzoni significative: Physician Heal Thyself, There Is No Such Thing As Paranoia, Purdy Young Blondes With Lobotomy Eyes.
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