Premessa doverosa: la testa pensante del progetto Vanessa Van Basten è Morgan Bellini, che i più attenti di voi avranno già notato nelle fila redazionali. Proprio Vanessa Van Basten ha fatto da unione. A Genova bene o male ci si conosce tutti e un talento così genuino era da scemi farselo scappare.
Vanessa Van Basten mostra genialità a partire dal nome, e allo stesso modo mostra conoscenza della materia fin dalla copertina. Questo disco d'esordio, nel suo appartenere alla scuola psichedelica del postcore/rock, evita tutti i vicoli ciechi in cui cadono attualmente un sacco di band (qualcuno ha nominato i Cult Of Luna?).
Invece di rifarsi ai Mogwai, i Vanessa Van Basten vanno ancora più in alto e finiscono in Norvegia, mescolando così gli Isis al Burzum più drogato. Ma non solo, le basi acustiche suggeriscono un altra matrice nera: quella del Seattle-sound più depresso, quello degli accordi di Jerry Cantrell (ascoltate "She Took Me To The Restaurant"). In questa depressione malata, drogata e solitaria (ricordiamo che Morgan fa tutto da solo, aiutato da pochi fidati amici) oltre al conte Grishnackh, i VVB, ricordano un altra mente sperimentatrice e "post": Justin Broadrick dei Jesu. Il tutto, incredibilmente, non è lontano dai viaggi psichedelici di Godspeed You!Black Emperor ed Explosion In The Sky.
Ma a parte le influenze, VVB si fanno notare per l'atmosfera "viaggiosa". Non è difficile immaginarci da soli di notte, seduti su uno scoglio solitario in riva al mare, illuminati solo dalle stelle e dalla luna, in compagnia di un bong e di uno lettore CD con dentro questo disco, provando odio e tristezza ma anche, paradossalmente, tanta tranquillità. Perchè di dischi così ne abbiamo sempre bisogno...
[Dale P.]
Canzoni significative: Concetto D'Incidente, She Took Me To The Restaurant.
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