“Shadows Of The Sun” è un mare di tristezza infinito, un'enorme distesa di lacrime che ondeggiano lente, accarezzate da una gelida brezza che trafigge il cuore e lo cristallizza. Gli archi in ingente quantità sospingono le melodie sussurrate e si aprono verso dolenti tramonti, come simboleggia la mestizia di “Eos”, con uno struggente Garm a salmodiare negli ultimi istanti. Si viaggia nel buio e la quasi assenza di appigli percussivi (presenti solo nella meravigliosa title-track in “Let The Children Go” - immersa in una fumosa atmosfera noir - ed in “Al The Love”) ci induce a sondare con mano l'ambiente circostante alla ricerca del sentiero giusto. La tinta di “Shadows Of The Sun” è ovviamente nera e fortemente unitaria e alla resa dei conti tale compattezza potrebbe farlo intendere come un'unica sinfonia di circa quaranta minuti. L'elettronica è stata letteralmente accantonata e solo qualche eco nell'incipit di “Vigil” ci rammenta i grigiori sintetici del masterpiece “Perdition City”, donando così maggior vigore alla costa più cinematografica e descrittiva della concezione musicale ulveriana, e vessillo di ciò è la finale “What Happened Here?”, che stilla lacrime direttamente dal cuore. La voce di Garm delinea temi melodici di non facile presa che accrescono il proprio valore solo dopo reiterate osservazioni, segno che la ricercatezza è rimasta uno dei punti di forza del trio norvegese. Perfettamente equiparata al resto è l'interpretazione di “Solitude”, piccolo gioiello di intimità sabbathiana che il tempo non ha affatto intaccato nella sua geniale attualità formale. Gli Ulver, pur spiazzando con un album come questo, tutt'altro che facile e prevedibile nelle coordinate stilistiche, continuano a non sbagliare un colpo. Proprio per questo sono già un classico.
[Marco Giarratana]
Canzoni Significative: Eos; Solitude; Vigil; Like Music.
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