Ecco l'apice indiscusso mai raggiunto -fino ad adesso- dalla band. Un sound potente e compatto in cui è un nulla perdersi. I brani si dilatano ancora (toccando il massimo nel successivo Lateralus), e la band perde definitivamente il concetto di canzone. Ecco perchè si ritorna a parlare di prog. Non a caso, i Tool chiameranno ad aprire alcune serate i King Crimson, che, proprio in questi anni, stanno vivendo un inatteso (e meritato) revival. Unire due gruppi lontani come i Melvins e la band di Robert Fripp sembra l'obiettivo dei Tool. Una proposta che potrebbe sembrare un azzardo, o una bestemmia. Ma che, ascoltando questo monumentale album, sembra la cosa più ovvia e naturale. Padrone indiscusso dell'album è il suono della chitarra di Adam Jones, dilatata, distorta, bassa e satura. Ma anche gli altri "3 Tool" hanno un ruolo predominante nel plasmare quel suono unico, caratteristico della band. La voce sciamanica di James Maynard Keenan (ascoltate le prodezze che compie in "Push It"), la batteria/percussione zeppa di pad elettronici di Danny Carey capace di seguire gli istinti arabeggianti del chitarrista e il basso del nuovo arrivato Justin Chancellor, potente e tessitore di meravigliose trame. Un disco ostico, che necessita di decine e decine di ascolti per poter essere assimilato, ma che vi rapirà ogni volta di più. Oscuro e nichilista nella proposta. Uno dei punti più alti mai toccati dalla musica tutta.
[Dale P.]
Canzoni significative: tutte.
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