Ricordo ancora chiaramente il senso di mistero evocato dal nome Tool. Foto promozionali ridotte al minimo, video oscuri, informazioni sulla band praticamente assenti. Erano gli anni in cui internet era un affare per pochi. Anche i Tool lo erano. Ricordo con piacere l'uscita di questi album oscuri e possenti che per la generazione grunge segnarono l'immediato post-Soundgarden.
Poi nel 2001, uscì Lateralus. Fin dal principio i fan gridarono al miracolo, e sparsero la voce sulla grandezza indiscutibile di Maynard e compagni. Grazie al tam tam di internet il disco, nel giro di anni, arrivò alle orecchie di chiunque. Chi venne sconvolto dall'alta qualità del songwritings, chi per le funamboliche doti tecniche dei musicisti, chi senza capire si allineò al trend in cui vedeva i Tool una band che doveva piacere. Per forza.
Eccoci al presente. Un presente fatto di attese spasmodiche, spesso deliranti e allarmanti. L'album viene anticipato da "Vicarious" sicuramente il brano più "normale" fra gli undici qui presenti.
Fin dal principio si palesano le novità: il suono è possente e curato, decisamente moderno. La coproduzione di Joe Barresi ha evidentemente stimolato la band a ricercare e a sperimentare. Le nuove influenze si delineano fin dal principio: Meshuggah, Melvins, Jesus Lizard, Neurosis, King Crimson, Lustmord, sono tutti nomi che vi ritroverete a citare per spiegare questo o quel riff. Niente di palesemente citazionista, anzi, i nuovi spunti vengono usati come sfumature aggiuntive del classico colore Tool.
Quello che vi colpirà ascoltando "10000Days" (positivamente o negativamente dipende dai vostri gusti) è l'astrazione dell'impatto. Niente di fisico e palese: il disco ha un mood decisamente mentale. Non è un album da ascoltare con le orecchie. Perlomeno non con le stesse orecchie con cui avete ascoltato "Lateralus". "10000 Days" risulta infatti un completamento del disco del 2001. Se "Lateralus" è il corpo (di bel aspetto, atletico, potente, perfetto), "10000Days" è lo spirito (contorto, riflessivo, insicuro ma dannatamente stimolante).
Risulta quindi un album non adatto a tutti, soprattutto non da chi si aspetta dai Tool le acrobazie ritmiche degli album precedenti. Piacerà, invece, a chi adora tutto quel mondo underground che Adam Jones ha sempre dimostrato di amare, quel mondo underground troppo stretto per una band che avrebbe gradito meno riflettori puntati su di se.
Approcciatevi con la giusta mentalità e questo album vi apparirà in tutta la sua grandezza.
Come avviene per il booklet: guardandolo con gli occhiali speciali vi apparirà nella giusta forma.
Non fermatevi alle apparenze. Indossate gli occhiali. E iniziate a guardare...
[Dale P.]
Canzoni significative: Jambi, Wings For Marie Part 2.
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