Formati da Aaron Turner (Isis), Brian Cook (Russian Circles) e Nick Yacyshyn (Baptists) i Sumac non hanno mai fatto breccia nel cuore degli appassionati delle tre band principali. Un approccio troppo astratto e faticoso all'ascolto hanno contribuito al progetto di essere rispettato ma non supportato sulla fiducia. Ma zitti zitti i tre hanno plasmato il progetto in una creatura sempre più complessa flirtando con l'avantgarde noise (vedi i dischi con Keiji Haino) e mantenendo la fiducia di una label di qualità come Thrill Jockey. E si può dire chiaramente che "The Healer" è finalmente il disco irrinunciabile che pazientemente aspettavamo dal meraviglioso trio.
Non sono certo le idee a renderlo un lavoro riuscito. Quelle ce le avevano già messe nei precedenti: drone, Swans, Neurosis, free jazz, noise. Finalmente quelle idee, strambe, fastidiose, dissonanti, storte servono ad uno scopo compositivo. Pur rimanendo ai confini con il free form lo sviluppo dei quattro brani (due da 25 minuti e due da quasi 13) è "progressivo" nel senso che ogni parte è un preludio a quella successiva, tendenzialmente più complessa della precedente. Ma non come facevano gli Isis (o i Russian Circles) in cui l'armonia e i riff costruivano qualcosa di complesso ed emozionante. I Sumac preferiscono i droni, i feedback, urla gutturali e una batteria free, in modo non troppo distante dai Khanate. I Khanate però sono decisamente più monotematici mentre i Sumac molto, ma molto, più complessi ed imprevedibili. Turner and co si prendono tutto il tempo che vogliono senza badare troppo a cambiare tono o effetto. Il drone sta bene per 10 minuti? Ok. Serve modularlo? No.
"The Healer" è la montagna sacra del post metal nel 2024.
[Dale P.]
Canzoni significative: tutte.
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