Superunknown risulterà il punto di non ritorno dei Soundgarden. Impossibile fare di meglio. Così sarà, ma la band ha ancora qualcosa da dire prima dello scioglimento (che averrà l'anno dopo). L'iniziale "Pretty Noose" ci consegna uno dei migliori riff partoriti dal buon Cornell e l'ingarbugliata "Rhinosaur" mostra un geniale Cameron. All'uscita dell'album si sparò a zero sulla band. Agli occhi dei critici non aveva più niente da dire e riprendeva la formula del successo di Superunknown. Per gli alternativi era di moda la semplicità del lo-fi e la stupidità del brit-pop. I riff e la psichedelia di "Down On The Upside" non furono capiti. Al di là di alcune effettive lungaggini, l'ultimo lavoro della band di Seattle, risulta il più sperimentale e il più ardito dell'intera discografia. Sono praticamente scomparsi i flirt metal-anthemici (quelli di cui Badmotorfinger e Louder Than Love erano pieni) in favore di una scrittura matura e mai banale.
Down On The Upside risulta quindi un capitolo a parte nella storia dei Soundgarden, intriso di umori strani e sperimentazioni mai fine a sè stesse. Segnaliamo i mandolini di Ty Cobb (folk hardcore??), il moog di "Applebite", la poesia di "Burden In My Hand", la malinconia di "Zero Chance", la disperazione orwelliana di "Never The Machine Forever" e un sacco di Pink Floyd, per la prima volta nominati tra le influenze del gruppo. Da notare l'abbandono di sonorità metal in favore di un suono molto più vicino al punk anni 80. "Boot Camp", infine, è un soffio di vento che arriva e se ne va, lasciandoci l'amarezza di un qualcosa che è stato e mai più sarà.
"There Must Be Something Else, There Must Be Something Good...Far Away"
[Dale P.]
Canzoni significative: Pretty Noose, Zero Chance, Boot Camp, Burden In My Hand.
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