Nel veloce mondo dell'underground basta un mese di ritardo per passare da fenomeno di culto a semplice poser di passaggio. I Rosetta arrivano dopo il milionesimo gruppo che suona come gli Isis, senza averne la classe. O semplicemente il carisma.
Il problema dei followers è proprio questo: ripercorrere le orme senza lasciare il segno. Inevitabilmente la gente non si accorgerà di te.
Allora perchè siamo qui a parlare dei Rosetta? Perchè siti stranieri ben informati ce li segnalano come grande promessa. E in più, per distinguersi, producono un album doppio. Perchè se già ascoltare 70 minuti di urla, perenni crescendo e arpeggi distorti non vi basta qua potete averne per quasi due ore.
I più furbi di voi preferiranno mettere in repeat "Panopticon", andare a farsi un giro in vespa, prendersi un aperitivo con una bella ragazza. Ma se siete proprio stoner (mentre noi dei semplici poser) allora procuratevi questo "Galilean Satellites" sedetevi sul divano con un altro amico come voi, preparatevi bong, chilum, cartine e filtri e sparatevi questo viaggio dimensionale di lunga, lunghissima durata.
E gli stoners di cui sopra non faranno certo male: il disco è infatti un bell'esempio di postcore psichedelico pesante come un macigno e viaggioso come un buon trip. L'unico difetto risiede nella totale mancanza di originalità e idee. La band si sbrodola a sentire che il suono ricorda tanto quello della band di Aaron Turner e così anche noi.
Il consiglio è il solito. Triste dire "only for fans" ma non ce la sentiamo di incensare un disco così derivativo, per quanto bello.
[Dale P.]
Canzoni significative: Departe, Absent.
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