Non e' per niente facile penetrare nel caliginoso mondo di Rose Kemp. Ed e' ancor piu' difficile addentrarsi negli scenari opprimenti racchiusi in "Golden Shroud", che, ad una prima osservazione, si configura come un estenuante tour de force, ostico e complesso. Ma piu' ci si avvicina, piu' la nebbia si dirada e i lineamenti di quello che non esitiamo a definire uno dei picchi creativi di questo anno che volge al termine si fanno piu' definiti, lasciando emergere la vena progressive, la ricorsivita' delle strutture, la filigrana che lega l'intero impianto vocale con quello strumentale.
Rose Kemp valica e confode ulteriormente i confini sempre piu' labili che separano doom, stoner, folk e post-hardcore, come se gia' la lezione dei Neurosis di "A Sun That Never Sets" non fosse stata sufficiente. E sono proprio i padrini di Oakland a comparire spesso tra le trame di queste tre lunghe composizioni: c'e' un'angoscia lenta e inarrestabile di chiaro lignaggio neurosisiano nel riffing che da' vita alle andature piu' possenti.
Il barometro della scrittura della Kemp oscilla tra improvvisi fuochi metallici e aperture melodiche piu' levigate e introspettive: la tortuosa "Lead Coffin" e' praticamente racchiusa in questo gioco ad incastri. Atipico il modo in cui si schiudono gli altri due solchi del disco: cori a cappella tra il surreale e l'elegiaco che appassiscono e si ravvivano ciclicamente fanno da prologo per l'innesco di un minaccioso stoner/doom sul quale si staglia la voce di Rose, mai cosi' iraconda e graffiante ("Black Medik II", che ha un'esplosione melodica sul finire davvero epica e avvincente), e per il sopraggiungere di una spessa coltre di nubi che occulta il sole gettando ogni cosa nell'ombra, mentre dagli inferi affiora un sibilato growling sinistro e alienato ("Blood Runs Red", dove spesso si respira una velenosa aria goticheggiante).
Eleganti i dialoghi tra voce e chitarra nelle pause di "Blood Runs Red", eccellente tutto lo spettro di motivi vocali che si susseguono nei brani e che non appaiono mai distanti l'uno dall'altro nonostante il continuo mutare delle strutture.
Giunta alla soglia del terzo album su lunga distanza, Rose Kemp dimostra di aver raggiunto una personalita' definita ed autonoma, una maturita' artistica impressionante, una capacita' descrittiva efficace e a tratti fascinosamente morbosa.
Se non avete ancora trovato il disco-simbolo di questo 2010 musicale, forse qui troverete cio' che state cercando.
[Marco Giarratana]
Canzoni significative: tutte
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