Chi frequenta questo sito fin dagli esordi ricorderà come Josh Homme fosse uno dei miei idoli indiscussi. Una delle prime recensioni che scrissi fu quella di Rated R e ricordo quanto ero eccitato di aver trovato una nuova band da venerare. Avevo 20 anni (18 quando uscì l'esordio omonimo) ed era normale per quell'età cercare qualcuno da venerare che non potesse deludere. I primi tre dischi dei QOTSA (assieme a quelli dei Kyuss) rappresentano così tanto per me che quando la china ispirativa di Josh iniziò a manifestarsi debole con Lullabies To Paralyze (comunque più che dignitoso) mi sentii tradito. Non ho mai accettato la svolta "easy" di "Era Vulgaris" e men che meno lavori mediocri come "Like Clockwork" e "Villains".
Arriviamo a 25 anni dall'esordio (oddio scriverlo mi fa venire le vertigini) con questo "In Times New Roman" che finalmente cattura di nuovo il mio interesse dopo 15 anni di nulla (questo è uno svarione ancora più grosso). Josh e la sua band (Dean Fertita, Jon Theodore, Michael Shuman, Troy Van Leeuwen per carità bravissimi ma puri session men) tornano vagamente sui loro passi, riprendendo il discorso di "Lullabies To Paralyze" - rock oscuro, vagamente psichedelico, molto melodico - evitando quelle influenze rockettine che avevano esaltato il pubblico generalista e deluso i cultori.
Parliamoci chiaro: non è un disco da isola deserta ma un buon disco da macchina che può girare anche due o tre volte in loop senza stufare. Purtroppo Josh ha deciso di competere nel campionato di Foo Fighters, Muse, Arctic Monkeys, Red Hot Chili Peppers cercando di accontentare un po' tutti i rocker "alternativi" da Virgin Radio. Però se i nomi appena menzionati non riescono a combinare niente di buono il "buon" Josh dimostra che non ha ancora detto l'ultima parola.
Un buon ritorno. Inaspettatamente.
[Dale P.]
Canzoni significative: Carnavoyeur, Sicily.
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