Pur avendo odiato a morte l'Avocado (Come Back esclusa ovviamente) e apprezzato un disco oggettivamente bruttino (ma di cui tuttora ascolto il lato sperimentale) come Riot Act, sapevo che i Pearl Jam non potevano abbandonare i propri fan in un mare di mediocrità . L'inevitabile sbando del cambio dei tempi, dell'ingresso in un'età da dinosauri del rock, del cambio di etichetta e di stile di vita non poteva essere indolore. E la band di Seattle, lo sappiamo, è sempre stata molto "emotiva". Ecco che questo Backspacer (titolo che vuole consigliarci di cancellare proprio i passi zoppi?) ci dona finalmente i Pearl Jam che conosciamo. Ovvio, non quelli grunge che arrivano fino a No Code, ma quelli più rock e asciutti di Yield, capaci di alternare brani grintosi con ballate crepuscolari.
Siamo ovviamente lontani dall'illuminazione giovanile, dalla voce che ti trascina in abissi infiniti, dagli assoli epici di Mike, dai geniali riff di Stone. Ma quello loro lo hanno già fatto e sarebbe disumano richiederglielo.
E' un disco bello carico, decisamente più grintoso rispetto alla media attuale dei dischi rock, e la band picchia come non mai: finalmente si sente il valore aggiunto di avere un Matt Cameron dietro alle pelli.
I primi due pezzi pezzi sono una bel carrarmatorock alla The Who (Gonna See My Friends) e regaleranno grandi gioie dal vivo (Got Some). Il singolo The Fixer è certamente l'episodio più debole del disco, complice la linea vocale decisamente scontata e irritante.
Il disco prosegue con reminescenze garage, ballate alla Into The Wild (Just Breathe), pezzi punk alla Mudhoney (Supersonic, che ricorda anche Mankind), autocitazioni (Unthought Known è un misto fra Wishlist e Nothingman), episodi rock soul (Speed Of Sound) fino al finale enfatico (Force Of Nature) seguito dal "The End" solo chitarra e voce.
Il primo disco indipendente (la major Universal distribuisce nel resto del mondo ma negli States esce su MonkeyWrench, etichetta del gruppo) e il ritorno con Brendan O'Brien dietro al mixer è contemporaneamente il disco che ti aspetti dai Pearl Jam. Ma senza la cupezza e con un equilibrio generale sconvolgente. Un disco che però esce nel momento giusto per cucirselo addosso e garantirti quel calore di cui si ha bisogno.
Promosso. Con grande gioia.
[Dale P.]
Canzoni significative: Supersonic, Speed Of Sound.
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