Brasile, nazione grande quanto l'Europa di cui conosciamo poco o niente. Nel nostro piccolo abbiamo narrato le gesta di personaggi sbilenchi come il black metal folkloristico di Bríi e Kaatayra, della psichedelia noise di Deafkids e Rakta, del pop-folk rockeggiante di Jadsa. Oggi aggiungiamo alla mappa i Papangu che in un certo senso sono la somma di tutto ciò che abbiamo ascoltato da questo paese e molto di più.
Il loro disco d'esordio "Holoceno" è un oggetto alieno suonato da quattro musicisti in evidente stato di grazia (a cui auguriamo che duri almeno per altri due dischi): si può mescolare musica folk, black metal, sludge, progressive e psichedelia in un'unica canzone senza che sembri un polpettone indigesto e casuale? Papangu ci riescono per sette brani e 44 minuti di musica.
Se vi dovessi spiegare ogni brano uno per uno, passaggio dopo passaggio faremmo notte per cui mi limito a dire che in "Holoceno" sentirete echi di Voivod, Pink Floyd, Magma, King Crimson, Van Der Graaf Generator, Oranssi Pazuzu, Mastodon, Neurosis. A stupire, oltre alla perizia tecnica eccellente ma non verbosa, è la naturalezza con cui il quartetto passa da un genere all'altro giustificando il tutto con un songwriting di qualità che se fossimo anziani definiremmo "progressivo". E più volte durante l'ascolto sarà facile chiedersi "cosa stavo ascoltando?" dimenticandoci cosa avevamo messo nel piatto, ma nel mentre i neuroni si saranno messi in moto "Papangu" avranno già cambiato atmosfera ricordandovi che "ah già è quel disco brasiliano uscito adesso". Per veri amanti del rock senza barriere.
[Dale P.]
Canzoni significative: Lobisomem, Holoceno.
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