Ci sono band che pian pianino che pubblicano dischi tendono a diminuire gli ingredienti, scarnificando la propria musica giustificandosi che con gli anni hanno imparato ad andare dritti al punto, a centrare gli obiettivi. Scartando cosi' materiale e suggestioni che resero grandi i loro esordi e perdendo via via il pubblico della prima ora.
Ecco perche' "il demo e' meglio" o "fino al terzo disco li ho seguiti, ma gia' il secondo mi aveva stufato".
L'avventura degli OM, invece, e' sempre stata sbilenca fin dal principio.
I primi due dischi furono una scusa per Cisneros e Hakius per tornare a suonare assieme nei palchi e in studio dopo l'avventura Sleep, terminata sul piu' bello. Pilgrimage, il terzo, mise fine l'ossessione di Cisneros per "Set The Controls For The Heart Of The Sun" dei primi Pink Floyd e fece entrare la band nell'olimpo dei grandi eroi dell'underground.
Col cambio di formazione (Amos dei Grails al posto di Hakius) le cose cambiarono. "God Is Good" consegno' al mondo una band ormai non piu' adatta solo ai fan piu' "open mind" del doom metal. Le suggestioni aumentarono e gli arrangiamenti si arricchirono.
Siamo al quinto disco e "Advaitic Songs" e' un'altra pietra miliare (dopo Pilgrimage) per il duo-ormai-trio (con Lichens, ex 90daymen). La band abbandona la formula "giro di basso distorto e loop", presente praticamente solo in "State Of Non Return", aggiungendo nuovi sapori raggiungiendo spazi mai percorsi. Grazie al violoncello di Jackie Gratz (Amber Asylum) gli OM sembrano rispondere agli Earth degli ultimi due dischi sull'uso creativo dello strumento. Ma si sente soprattutto la curiosita' di Emil Amos per le culture del mondo e gli ormai consueti sapori dub di Cisneros.
Un disco che puo' essere analizzato per ore ma che vi consigliamo di scoprire pian pianino, sarebbe meglio a scatola chiusa. Mettetevi comodi, chiudete gli occhi e premete play.
[Dale P.]
Canzoni significative: tutte.
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