E' 1993, anno in cui il grunge è IL fenomeno dell'anno. Band come Pearl Jam e Nirvana hanno aperto le porte delle chitarre sporche e della depressione in televisione, capelli lunghi, camicie di flanella e doc martens compaiono in ogni negozio di alta moda e le major stanno cercando di sfruttare al massimo questo fenomeno.
La Atlantic, a furia di sentire i Nirvana esaltare i Melvins decide di metterli sotto contratto. Non stupisce questa scelta dato che in quegli anni tutte le band di Seattle riuscirono a rimediare qualche soldo. Mudhoney, Tad, Screaming Trees riuscirono a salire sul treno permettendosi tournèe mondiali e passaggi televisivi in prima serata.
I Melvins, nel 1993 erano una band che cercava di plasmare il sound dei Black Sabbath con quello dei Black Flag e di creare lunghi drone. Nel circuito indipedente ottennero un discreto successo con dischi come Lysol, Eggnog ma soprattutto Bullhead e Ozma. Erano gli anni in cui il circuito indipendente riusciva ad essere realmente rumoroso. I dischi venivano distribuiti a caso e le band pur di essere nei negozi rilasciavano singoli un po' per tutte le label.
King Buzzo, Dale Crover e Lorax (bassista, figlia di Shirley Temple) si ritrovano così a fare i conti con le proporzioni mondiali del successo del Seattle-Sound. Col senno del poi non sprecano l'occasione, ma consegnano ai posteri un bellissimo disco di approccio al difficoltoso suono della band. Un disco che sarà sempre disponibile in tutti i negozi di dischi e fungerà da cavallo di troia per iniziare un viaggio verso le infernali invenzioni di Buzz.
Per rendere il tutto ancora più appetibile chiamano l'amico/fan Kurt Cobain e lo accreditano produttore di un paio di brani (quando in realtà non fece proprio niente) e gli fanno suonare la chitarra in "Sky Pup" e le percussioni in "Spread Eagle Beagle". In realtà la produzione se la dividono "GGGarth Richardson" e il mitico Billy Anderson, uomo dietro a tutti i più importanti dischi pesanti degli ultimi 20 anni.
In Houdini la band focalizza le intuizioni dei dischi precedenti cedendo ad una vena più ascoltabile e giocherellona, marchio di fabbrica anche della produzione futura. Siamo dalle parti di un metal sbilenco, un po' sludge e un po' doom, parecchio Black Sabbath e decisamente orecchiabile ma essenzialmente inspiegabile a parole.
Non sarà un capolavoro totale ma è certamente la chiave di lettura più semplice per approcciare la band, e per questo lo premiamo nella categoria dei grandi "classici".
A sigillare il tutto le illustrazioni di Frank "Man's Ruin" Kozik.
[Dale P.]
Canzoni significative: Hooch, Nightgoat, Lizzy.
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