A sentire dell'uscita del nuovo lavoro dei Meganoidi chiunque avrà immaginato un disco che cavalcasse l'ondata di popolarità di "Into the darkness into the moda". Sarebbe stata una scelta cauta, coerente con le aspettative del loro pubblico. Ma si sà che i musicisti sono un po' pazzerelli, da loro ci si può aspettare di tutto, soprattutto quando lavorano liberi da imposizioni da etichetta (resta infatti la scelta di autoprodursi, registrando nel loro studio genovese, lo ZeroDieci, e mixando in territorio Canadese presso quello di Vic Florencia). Bene, stavolta hanno deciso di mettersi in discussione, esplorando la strada del rock, aiutati dalla luce guida di uno stile maturato in modo sincero e personale. E' un prodotto vario nelle dinamiche, dove ogni pezzo funziona grazie ad arrangiamenti che calpestano la banalità pur mantenendo intatta la matrice un po' giocherellona della band genovese. Tutte le tracce hanno una struttura composita che crea il giusto compromesso tra imprevedibilità, orecchiabilità e groove. Si può parlare quindi di crossover più che di rock, ma nell'accezione migliore del termine, cioè come fusione e ricerca di nuove soluzioni basate su registri flessibili che rendono l'ascolto coinvolgente e interessante. Questa nuova attitudine lascerà i vecchi seguaci un po' spaesati, perchè esce dichiaratamente dagli schemi in levare che han fatto ballare tanto un pubblico giovanissimo assetato di spensieratezza. E' il momento di esplorare dimensioni più personali, in un percorso che oscilla tra potenza distorta e slanci di fiati per arrivare alla rabbia nevrotica di una "M.R.S.", e persino alla malinconia. Forse quindi il target è destinato a mutare, diminuendo (perdendo la fascia più giovane assetata di ascolti "facili"), oppure acquisendo nuovi consensi da un pubblico più maturo, che ama la bella musica fatta di talento e impegno. I Meganoidi sono cambiati, partendo dalla line-up, vedendo dietro ai tom Saverio (Blindosbarra), e il congedo del percussionista / Iena. Sono migliorati tecnicamente e hanno dimostrato di essere ottimi musicisti e di crederci sul serio, sfruttando le loro capacità compositive per un prodotto che mette in gioco la loro fama di "Kings of Ska". E lo fanno dichiaratamente: il pezzo d'apertura, "Inside the loop", preceduto da un'intro free-jazz-noise, recita:"Once upon a time I used to say -bliss is a sort of compromise - but I was wrong -'cause I catch my breath just when I run"... E' proprio vero che ci si rende conto di respirare quando si fa fatica a prendere fiato! E' questo il manifesto della nuova maniera meganoide, che vuole sfuggire al "loop" esplorando strade nuove, pronti ad affrontarne ogni implicazione anche a scapito di certa commercialità. I 12 brani spiccano per versatilità, e sforzarsi di classificarli in un genere preciso sarebbe inutile. Il vecchio stile è superato grazie a pause e stacchi parecchio efficaci, bridge che preludono a esplosioni sonore vigorose; insomma, ogni brano ha una srtruttura molteplice, mobile, pur conservando certa melodicità, e la produzione transoceanica resta abbastanza naturalistica, non troppo sofisticata...L'ultima traccia, "Zeta reticoli", è un episodio isolato rispetto agli altri pezzi, pervaso da una maliconia di fondo che credevamo estranea ai Nostri...Un pezzo che stupisce proprio per la tristezza viscerale trasmessa in modo genuino, trovando il suo apice in un finale inaspettato dove la melodia della tromba e del sax suonano proprio come un addio.
[Shizu]
Canzoni significative: Inside The Loop, The Penguin Vs Putrid Powell, Another Day, Zeta Reticoli
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