Da qualche parte si vocifera di un ritorno delle (de)strutture pesanti e cerebrali. Le premesse ci sono tutte: un bel po' di titoli per rispolverare la memoria di come può essere composita e cervellotica certa musica (Behold The Arctopus, Dysrhythmia, Psyopus, Atheretic) e, soprattutto, il fatto che questo rinnovato vigore non venga da vecchietti nostalgici, ma da sangue relativamente fresco e bramoso di novità. Daniel Mongrain non è più così giovane, ma è uno che per il suddetto stato di cose ha contribuito non poco a gettarne le basi, con un paio di bordate death metal estremamente cerebrale a nome di Martyr. Al terzo episodio, dopo le grandiose aperture armoniche di 'Warp Zone' (chi ha detto Death e 'Symbolic'?), la band canadese sfoggia una lezione di stile come nel metal non se ne sentivano da tempo: un disco arrogante e letale di poliritmie, tempi composti e armonie d'avanguardia: praticamente, il disco che Bela Bartòk avrebbe scritto se fosse nato un secolo più tardi e avesse trascorso l'infanzia a Voivod, Atheist e Mekong Delta. Rispetto al passato permangono l'osticità e certe soluzioni melodiche ('Felony'), spesso portate alle estreme conseguenze (l'ossesso di 'Silent Science') o, peggio, trasmutate in qualcosa di unico e mai sentito altrove ('Dead Horizon Part II: Romancing Ghouls' – sublime): tanto nella musica quanto nelle parole, tutto è radicalmente a fuoco, preciso e spietato, come visitatori giunti da un mondo popolato da insetti meccanici e insensibili terminali autocoscienti. Potrebbe essere il vero disco necessario degli ultimi mesi.
[Mirko Quaglio]
Canzoni significative:tutte.
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