Per la serie “anche i cattivi hanno un cuore”, Marilyn Manson si toglie di dosso i panni del provocatore e dell'aizzatore delle folle, ruolo che gli è fruttato successo a profusione, per svelare il suo lato più umano e tormentato. Figlio di un periodo segnato da una grave crisi depressiva, corollario alla separazione dalla (oramai ex) moglie Dita Von Teese, “Eat Me Drink Me” si segnala come l'opera più povera di creatività che l'ei fu Anticristo che tanta paura faceva (fa?) ai benpensanti di mezzo globo potesse mai propinarci. Più che depressione, più che tristezza, più che malinconia, in questi undici solchi c'è tanto tedio generato da una scrittura al limite del cedimento e arrangiamenti smilzi orientati verso un goth-rock nemmeno tanto elaborato poi, totalmente depredato dei suoni narcotici ed industriali cari al pittato artista statunitense.
Questa latitanza grava pesantemente sull'economia di un lavoro fiacco, incentrato più su ballad dal passo rallentato e da un lirismo sofferto ma raramente convincete. Non v'è traccia di refrain anthemici, di quei muri di suono che in passato fecero non poche vittime. Per intercettare un episodio che aumenti un tantino l'intensità dell'album si deve attendere “Are You The Rabbit?”, ottavo passaggio in scaletta e che non è poi nemmeno lontano parente delle ulcerazioni che furono. Tolte le colate elettroniche dello stile di Manson rimane un rockettino emaciato e poco ispirato dove lo sbadiglio è in perenne agguato dietro l'angolo e che svela le carenze di ispirazione, spesso in passato camuffate dal sostrato industrial.
Calma piatta e nulla di buono all'orizzonte.
[Marco Giarratana]
Canzoni significative: If I Was Your Vampire, Putting Holes In Happiness, Just A Car Crash Away.
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