Per il tredicesimo album dei nu metallari di Barkersfield si sono spese le solite parole sul possibile ritorno ai livelli dei primi bellissimi lavori. Non è così. E' un disco dei Korn nel 2019. Nel bene e, soprattutto, nel male. I suoni sono plasticosi e, se parliamo di chitarre, è un vero colpo al cuore; la band usa molto mestiere ripetendo clichè ormai collaudati che a volte funzionano ("Cold", con un ritornello però veramente troppo emo e l'autocitazionista "You'll Never Find Me") e a volte no ("The Ringmaster" e "The Gravity Of Discomfort").
Il disco nasce dopo il grave lutto che ha colpito il cantante Jonathan Davis che ha perso recentemente la ex moglie; è proprio Davis ha sfoggiare una prestazione intensa e convincente come in "H@rd3r", sostenuta da un bel riffone iniziale, ed a cucire una bellissima intro con l'uso della sua fidata cornamusa ("The End Begins") dove sentiamo pulsare un basso che dona un fremito di piacere. La sensazione globale è però quella di una band a metà tra riff pesanti (il ritorno di Head, qui al terzo album da figliol prodigo, è stato indubbiamente positivo) e ritornelli molto catchy con il rischio suonare banali come accade in "The Darkenss Is Revealing" con il classico bridge alla Korn non certo memorabile o in "This Loss".
Il terreno dove la band tira fuori il meglio è l'heavy pop di "Can Your Me", con un riff iniziale azzeccato ed un ritornello finalmente efficace seppur estremamente radiofonico e di "Finally Free" con il suo andamento funkeggiante.
Un disco che non aggiunge molto al curriculum della band, ma che farà ragionevolmente felice l'ancora corposa fanbase, soprattutto d'oltreoceno.
[Francesco Traverso]
Canzoni significative: Can You Hear Me, The End Begins, H@rd3r.
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