Iggy Pop, tutti lo amano ma pochi hanno i suoi dischi in casa. Simbolo dei sopravvissuti degli anni d'oro del rock assieme a Ozzy e ai Rolling Stones in realtà Iggy è sempre stato un sopravvissuto. Negli esordi selvaggi degli Stooges, nel terzo disco con la band ricostruita, agli esordi da solista acchiappato da David Bowie e portato a Berlino, ai tempi del punk quando era già un dinosauro pur avendo pubblicato solo un paio di dischi. Ogni volta Iggy sembra entrare nel mercato discografico inciampando e crollando di faccia contro qualche oggetto di cristallo ottenendo la classica reazione "ma chi ha invitato sto stronzo?". Anche oggi con "Free" viene da dire "ma chi ti vuole? stai a casa!". Iggy è un portatore di disagio, di malessere, ti sbatte in faccia il degrado molto di più di un Nick Cave. Iggy Pop è il degrado in musica.
"Free" è un album da crooner addormentato. O risvegliato dopo una sbronza epocale. Il sound è rarefatto, sostenuto dal lavoro della chitarrista ambient Sarah Lipstate (aka Noveller) e dal trombettista Leron Thomas, per lo più Iggy non canta, ma incanta con il suo vocione old style, un po' Frank Sinatra, un po' Tom Waits, un po' Nick Cave, un po' Lou Reed. Ovvero Iggy Pop. Qui dentro non c'è rock, a parte qualche piccola disgressione rimembrante il periodo Bowie ("Loves Missing"), solo tanto intimismo "post rock". Se fosse una nuova svolta sarebbe da supportare senza riserve ma siamo sicuri che l'ex Stooges starà già pensando al suo prossimo disco, magari techno. O magari con qualche band rock trendy per ricominciare a rockeggiare fastidiosamente.
[Dale P.]
Canzoni significative: Free, Sonali, Glow In The Dark.
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