In mezzo a tanti gruppi che pensano che per suonare hard rock basti o una grafica eccezionale o un chitarrista capace o un cantante bravo o delle buone influenze svettano gli americani High Priest che sono un pacchetto completo. Già la copertina del disco è affascinante, il loro aspetto non tradisce esperienza e la musica contenuta nel loro esordio sulla lunga distanza è il perfetto compendio di tutto ciò che di bello avvenuto nel rock da quando è nato.
Potremmo catalogare il quartetto di Chicago nella sezione stoner doom ma sarebbe una evidente limitazione. Perchè se il retaggio, i suoni e il mood sono essenzialmente quelli usati per stordire gli ascoltatori con riff pesanti e mandarlo in orbita con assoli spaziali il risultato è oltre ogni aspettativa.
Otto brani per 45 minuti di musica in cui troviamo i riff classici di Judas Priest e Thin Lizz, mescolati all'hard oscuro di Black Sabbath e Pentagram, il doom dei Trouble, la vocalità epica di Soundgarden e Alice In Chains, lo stoner di Kyuss e The Sword. Sembra un sogno e lo è: il disco è probabilmente il miglior album del genere uscito nel 2023 a cui avevo colpevolmente rimandato l'ascolto per via dell'unico difetto del gruppo: un nome non proprio eccezionale.
Fidatevi e non farete più a meno.
[Dale P.]
Canzoni significative: Divinity, Down In The Dark.
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