I supergruppi sono armi a doppio taglio. O creano musica gigantesca che l'equilibrata somma delle geniali parti e' in grado di plasmare, o defecano il tronchettino puzzolentino che fa discutere ad esclusiva causa dei nomi dei proprietari degli ani escretori. The High Confessions e' un supergruppo con la consueta line-up da supergruppo, ovviamente: Chris Connelly (Ministry, Pigface, Revolting Cocks), Jeremy Lemos (White/Light), Steve Shelley (Sonic Youth), Sanford Parker (Minsk, Buried At Sea, Nachtmystium, i recenti Circle Of Animals e Twilight).
Di quest'ultimo, da queste parti ci chiediamo sgomenti se sia davvero unto dal supremo dono dell'ubiquita', constatata la mole impressionante di lavori che lo vedono coinvolto annualmente, o se sia un nome fittizio con una faccia fittizia incorniciata tra due basettoni altrettanto fittizi dietro il quale opera un nutrito gruppo di musicisti e produttori in incognito, una roba tipo Luther Blissett, avete presente? Tra noi taxisti c'e' pure chi sostiene che abbia dei sosia come Saddam Hussein e non e' un'ipotesi da escludere.
Ma, sgomberato il campo da teorie complottiste, concentriamoci su "Turning Lead Into Gold With...", primo parto creativo degli High Confessions. E riallacciamoci alle opzioni d'apertura di questo articolo. E' questo un progetto che merita d'essere considerato al di la' dei personaggi coinvolti o e' l'ennesimo, inutile passatempo di chi non ha meglio altro da fare che incidere un disco?
"Turning Lead Into Gold With..." non e' un capolavoro, ma e' di sicuro un signor album.
La musica di The High Confession non affonda la carne con rasoiate metalliche (a dispetto dell'idea preliminare che ci si puo' costruire appena attacca il post-punk di "Mistaken For Cops"), ma la sua potenza evocativa risiede tutta nella subdola atmosfera in cui e' immerso, in quell'aria opprimente da desolante incubo post-nucleare che traspira in copiosi sbuffi di fumo dalle casse.
Il sound e' scarno, con fendenti di basso ultraeffettato, in cui convergono il drone e molto dell'immaginario "post" e non e' un caso che si senta lontano diverse miglia l'eco degli Swans, che da' luogo alle allucinazioni apocalittiche di "Dead Tenements" (in cui si osservano anche lembi fugaziani nella seconda parte), ma si intercetta anche un certo spirito kraut/no wave nelle strutture piu' reiterate e ossessive ("Along Came The Dogs").
The High Confessions sanno essere sinistri e perfidi come un oscuro e gotico David Bowie ("The Listener") o richiamare l'ambiente sonoro dei Battle Of Mice nelle scie di luci immerse nel buio pesto di "Chloryne And Crystals".
Tolta la lista di rimandi stilistici, questo e' un album avvincente che cresce ascolto dopo ascolto, che costringe a ritornare sui suoi passi per sviscerare questo o quel dettaglio sonoro che un giro sullo stereo fa non eravamo riusciti a cogliere. Proprio il genere di ascolti che ci piace.
Se e' vero che i supergruppi sono armi a doppio taglio e che a sputtanarsi ci mettono un batter di ciglio, la premiata ditta Connelly-Lemos-Shelley-Parker ribadisce lo status delle parti in causa. Che non rimanga un episodio isolato, questo e' cio' che speriamo.
[Marco Giarratana]
Canzoni significative: Along Came The Dogs; The Listener; Chloryne And Crystals.
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