Il terzo album dei Grails ha una genesi piuttosto particolare, per lo meno nel modo in cui si approccia al negozio di dischi.
Nel Marzo 2006 esce su Aurora Borealis il volume 2. Edizione limitata in 500 copie e quattro brani. Qualche mese dopo (ovvero a Settembre) č il turno del volume 1, in realtą uno split con i Red Sparowes. L'etichetta č la Robotic Empire e i brani questa volta sono tre.
Il volume 3 ovviamente non esce e viene incluso all'interno di questo CD, che raccoglie i due EP pubblicati nei mesi scorsi. Misteri del marketing delle band underground, o furba tecnica per far parlare di sč nei mesi.
Quello che in realtą ci importa č come suona il disco.
I Grails con questo nuovo lavoro accentuano le componenti folk del loro sound, debitore del post rock, ma addirittura forzano la mano su un approccio notturno molto jazzy. Ovviamente jazz suonato con un indole sotteranea, in punta di dita, ma con risultati sofisticati e parecchio ostici.
Il disco, fluido pur essendo una raccolta, cerca una nuova strada rispetto al solito scontato bivio in cui cadono le band del genere, riprendendo il discorso "sofisticato" delle prime sperimentazioni post.
Quelle che sono state uccise dai banalissimi arpeggini reiterati e dalle distorsioni enfatiche di chi si emoziona con poche lire.
"Black Tar Prophecies Vol's 1,2,&3" č un disco difficile, superficialmente noioso, inadatto a chi cerca muscoli ed effetti speciali lampanti. Qua siamo al cesello, alla punta di piedi, ad un approccio che non č delle band del giro a cui si rivolgono i Grails (Hydrahead, Neurot). Qua non c'č violenza nč sudore. L'assalto č puramente mentale: ma non č detto che sia meno insidioso e fatale.
[Dale P.]
Canzoni significative: Stray Dog, Black Tar Frequencies.
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