I Giant Squid sono una creatura affascinante. Si abbeverano a diverse fonti per dar vita ai loro viaggi sonori. Carpiscono echi sparsi del post-core neurosisiano e hanno assorbito per bene i sacri comandamenti dei Black Sabbath (non potrebbero altrimenti dar vita al doom di "La Brea Tar Pits"), flirtano più e più volte con la psichedelia di derivazione pinkfloydiana e, non ultimo, si lasciano spesso affascinare dalle distensioni del post-rock. Fuor di metafora, sono una progressive-rock band a tutti gli effetti.
Giungono a "The Ichtyologist" a tre anni dal promettente ma ancora acerbo "Metridium Field" e con le idee alquanto chiare sulle traiettorie stilistiche da seguire. A produrre c'è Matt Bayles (vi dicono qualcosa Mastodon, Isis, Botch e Pearl Jam?). La presenza di fiati sparsi qua e la nel corso della tracklist e l'atmosfera strisciante e fumosa di "Sutterville" denotano abbagli per il jazz tenuti tutt'altro che nascosti. Tantissime sfaccettature che a primo acchito non risaltano all'attenzione, emergono successivamente per arricchire un quadro che fa dell'interazione degli elementi il suo punto cardine. Impreziosito dalle apparizioni di due ospiti, "The Ichthyologist" sa rapire l'ascoltatore e condurlo negli abissi dell'intricato concept escogitato dal cantante/chitarrista Aaron Gregory.
Ospiti dicevamo: Karyn Crisis, ugola alla nitroglicerina dei mai dimenticati Crisis, viene chiamata per infiammare la già ignea "Throwing A Donner Party At Sea", che appartiene a quell'universo heavy-rock irruento di cui i Mastodon sono i più importanti esponenti; Anneke Van Giersbergen invece, con le sue proverbiali incursioni suadenti, ritocca di malinconia "Sevengill". Gli interventi di violoncello di Jackie Perez Gratz invocano i Rachel's e arricchiscono la tavolozza cromatica di sfumature quasi arcane. "Rubicon Wall" ammalia coi suoi dissonanti arpeggi perpetuati come intrecci d'una rete gettata in mare per imbrigliare ogni cretura che si dimeni nel fondo. "Mormon Island" è tetra e miscela l'anima nera di Jarboe con le sinistre visioni degli Sleepytime Gorilla Museum, restando lì sospesa come un incubo che ronza dentro la calotta cranica; "Blue Linckia" fa bella mostra d'una lunga coda stoner prima di sfociare in "Emerald Bay", bellissimo acquerello che pare uscito dall'astrattismo dei Neurosis di "The Eye Of Every Storm". Non si può non evidenziare come i Giant Squid siano cresciuti in sede di composizione, mantenendo la qualità dei brani alta fino alla fine (questa una delle pecche principali di "Metridium Field") e delineando una precisa personalità, nonostante gli inevitabli paralleli che possono sopraggiungere alla mente durante l'ascolto.
"The Ichthylogist" è un album dalla non facile presa e che costringe al ritorno sulle sue tracce per diverse volte. Una volta schiusa la conchiglia però non si potrà far a meno di ammirare il perlaceo abisso che si staglia più impetuoso che mai.
[Marco Giarratana]
Canzoni significative: Throwing a Donner Party At Sea; Sevengill; Rubicon Wall; Panthalassa; Sutterville.
|