Addentrarsi in un lavoro dei Fucking Champs è come aprire un album di fotografie naif dei Judas Priest che gettano borchie e ridicola marzialità a favore di una genuina semplcitià rock e radicalità indipendente, ma al contempo lontano dall'indie snob ed asessuato. La loro discografia è costellata di piccoli cammei che, in un modo o nell'altro, fanno ribrezzo al machismo decaduto del metallaro medio e la gioia di quelli più avveduti e curiosi, nonché l'ovvio consenso di nerd e cultisti dell'eclettismo a là Motorpsycho. Questo sesto capitolo della saga non è da meno. Ci sono riff che sballonzolano da una parte e dall'altra (e non ve n'è UNO che non sia memorabile), le grandissime progessioni (prendete 'A Forgotten Chapter In The History Of Ideas': punk, rock, stoner e NWOBHM in sei minuti!) e gli intervalli "neoclassici" (gli apici non sono casuali: esemplare 'Champs Fanfare'). Insomma, ne converrete che cercare un solo riferimento per un disco dei Fucking Champs è praticamente impossibile: spuntano nomi e rimandi in ogni parte, in uno schizofrenico susseguirsi di istantanee. Riflettendoci, potrebbero venir annoverati tra le più radicali, creative e riuscite rappresentazione della frammentazione musicale dei nostri tempi. Alcuni lamentano l'assenza di vocals o la scarsa dinamica; addirittura ho sentito gente che li taccia di scrivere solo "canzoncine da videogame in chiave progressiva". Da queste parti ce ne infischiamo e un certo minestrone musicale la sosteniamo con buoni voti, a maggior ragione se non ha la pretesa di essere fico.
[Mirko Quaglio]
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