C'è stata una fase in cui il metal era risorto dalle ceneri del grunge e dell'hardcore e aveva mostrato al mondo intero che NON era una musica per bambini deficienti; gente che, ad un certo punto, aveva trovato l'alchimia giusta per rinnovare un genere troppo a lungo si era trovato impettito ed accartocciato su se stesso, riciclando sempre le solite menate. Il dado era stato tratto più o meno cinque o sei anni fa, ma si sa certi cicli sono destinati a ripetersi e un disco come quello dei The End ti fa comprendere in pieno il perchè.
Non è che sia suonato e scritto male, anzi. Ci sono canzoni formalmente perfette e sulle quali si sente che è stato speso molto tempo, aborti generati da cadaveri del Nu e del Metalcore più di facciata, a dire il vero un po' pacchiani ('The Never Aftermath', ...ma è un po' il mood dell'intero disco), e da buone intuizioni post-hc ('Animal'), frullate in una produzione impeccabile, che ha lavorato tanto di cesello quanto di psicologia spiccia per capire cosa dare in pasto all'ascoltatore avvezzo a questo tipo di cose; c'è anche il momento rumorista ('A Fell Wind') e il flirt con i Tool ('In Distress'), ma non è che la situazione cambi più di tanto. È come sentire un improbabile esperimento degli esordi che giocano a fare i Meshuggah della situazione, con malcelata attitudine hardcore. Da queste parti, che siamo tanto diffidenti, non va proprio giù che Relapse si permetta simili cadute di stile. Soprattutto quando è colpa di una band che aveva fatto parlare bene di se in passato. Ora avete capito il perchè?
[Mirko Quaglio]
Canzoni significative: Animal.
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