Chissà se il grande pubblico scoprirà mai gli Elder. Eppure hanno un linguaggio che si nutre dei grandi classici del rock e della psichedelia, evitano forme sonore estreme preferendo eleganza e delicatezza pur mantenendo sempre una tensione heavy. Chissà se un fan dei Pink Floyd (ovvero circa 7 miliardi di persone) avrà mai il piacere di affrontare un loro disco e di apprezzarne le scelte stilistiche?
Dopo un paio di lavori un po' così e così ("Reflections Of A Floating World" e "Omens", non brutti ma neanche da consigliare a scatola chiusa) "Innate Passage" riprende la qualità fantasmagorica di "Lore", l'apice della prima parte di carriera iniziata in lidi stoner/doom e proseguita mettendo in luce l'anima settantiana. Parliamo di prog? Diciamolo. Le tastiere (suonate anche dell'ospite Fabio Cuomo nella finale "The Purpose") parlano chiaro. Ma anche la voce di DiSalvo (finalmente convincente al 100%) rimanda a echi Pink Floydiani e alla stagione di linee vocali epiche su uno sviluppo musicale imprevedibile e dilatato, che tocca spesso il confine del kraut rock. Se dovessi fare un altro paragone direi che gli Elder hanno raccolto la fiaccola del neo-progressive-psichedelico dei Motorpsycho aggiornandolo e rinfrescandolo come i norvegesi non riescono più a fare per limiti di età (e pur non sbagliando un disco, sia chiaro).
L'ascolto di "Innate Passage" è eccitante, energico e viene più volte da far partire l'applauso durante l'ascolto. Perchè? Perchè è come il rock andrebbe fatto: suonato bene, ricco di idee, con un piede nel passato e uno nel futuro. Tutto il resto è fuffa.
[Dale P.]
Canzoni significative: tutte.
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