Avrei scommesso in un sotto trend post-punk in cui si faceva largo una marea di band senza cantante ma con voce declamante, una sorta di post-punk-hiphop, a rispondere ai trend giovanili (t)rapettari. Avrei perso perchè a parte qualche timido singolo qua e là di varia provenienza non si è fatto avanti praticamente nessuno e i Dry Cleaning hanno potuto arrivare al secondo disco da re incontrastati della loro formula. Ripreso John Parish in produzione, praticamente il quinto membro della crew, la band non cambia niente della formula che li ha portati ad attirare l'attenzione degli addetti ai lavori e non. Le differenze sono giusto nei dettagli, negli arrangiamenti leggermente più avventurosi, in un sound ancora più Florence Cleopatra Shaw-centrico. Lei non fa niente per regalare dei ganci all'ascoltatore (a parte qualche parola qua e là, un accenno di melodia ogni 6/7 canzoni) e si prodiga nel suo flusso di coscienza mentre la band costruisce i brani su suoni e suggestioni. Se "New Long Leg" appariva più noise rock alla Sonic Youth questo inevitabilmente cerca un proprio carattere. La cosa bella è che sembra un disco già ascoltato anni prima, come se provenisse dalla collezione della zia. Ha un suono classico ma allo stesso tempo strano. Come secondo passo va più che bene, vedremo se con il terzo muterà qualcosa o saremo sempre qui.
[Dale P.]
Canzoni significative: Anna Calls From The Arctic, Stumpwork.
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