I Dredg sono una delle band più atipiche dell'attuale panorama "alternative". Restii a interviste, fotografie e, in generale, hype agiscono però sotto le braccia dell'Interscope, non proprio una indie. Questa realtà, per il sottoscritto, è per la band una piccola trappola che non constente ai Dredg di essere apprezzati come dovrebbero. Non da chi ha avuto la fortuna di ascoltarli, ma proprio da chi non li conosce. Per assurdo la Interscope in quanto grande corporation non riesce a sfruttarne tutto il potenziale commerciale. E' come se avessero mandato in tilt i normali circuiti di una major semplicemente con la timidezza.
Risulta quindi buffo sapere che dopo appena tre album di effimero successo commerciale (giusto la Germania ha visto lungo) ma di grande spessore artistico l'etichetta pubblica questo Live At Fillmore. Non in formato DVD, come avrebbe avuto senso, ma in un più economico e antiquato CD.
C'è da dire che la dimensione live non è mai stata l'ideale per la band, spesso chiusa in sè stessa e priva delle intuizioni da studio risultava quasi a disagio e monca. Per lo meno era l'idea che veniva fuori ascoltando i bootleg. Il contatto diretto con l'unico concerto italiano ha immediatamente fugato ogni dubbio, dimostrando che le registrazioni toglievano loro potenza e intensità.
Ad un anno di distanza da quell'ormai mitico concerto la pubblicazione del "Live At Fillmore" arriva come un souvenir dell'evento e come consolazione per chi se li perse. In realtà il disco in questione è realmente poca cosa, forse una semplice scusa per far girare il nome, in attesa di un nuovo album.
La registrazione è sì cristallina ma manca di spessore a causa di un mixing non eccelso che rende il disco "crudo" ma insapore. La band fa di tutto per rendere al meglio inserendo numerose variazioni e celebrando una breve carriera senza nessun calo di tono, pescando fra tutti gli album.
Purtroppo, quando si parla di un concerto dei Dredg, non si può prescindere dall'aspetto visivo. Vedere il potente e fantasioso drumming di Campanella, spiare l'effettistica di basso e batteria, farsi trascinare dalla mimica sofferente e intensa di Gavin sono tutti ingredienti imprescindibili.
"Live At Fillmore" rimane quindi un acquisto consigliabile solamente ai cultori della band, che si divertiranno ad ascoltare le variazioni, criticheranno gli errori e finiranno per consumarlo avidamente. A coloro che non sono ancora stati iniziati al culto consigliamo di non partire da questo disco, vi perderete le raffinate produzioni della band e finireste per farvi un idea sbagliata: El Cielo invece vi aspetta in tutti i negozi ed è, quello sì, realmente imperdibile.
[Dale P.]
Canzoni significative: The Tankbark Is Hot Lava, Sanzen.
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