Nel giro di relativamente poco tempo, i Dead Elephant sono diventati una delle band italiane più quotate. Merito delle infuocate esibizioni live, di influenze mai banali e di un modo di portare in giro la propria musica meritante rispetto.
Non avevano ancora esordito con un full-lenght ma la loro discografia sembrava bella corposa tale è la maturità della band.
In realtà l'esordio arriva solo adesso, grazie alla cooperazione di due tra le etichette più illuminate della scena italiana: Robot Radio e Donna Bavosa.
La confezione ci fa capire che quello che troveremo dentro non sarà per niente banale. Copertina inquietante e malata, depressiva e disturbante come la musica che troveremo all'interno.
Noise, hardcore, stoner, drone mescolati con foga metropolitana drogata capace di deragliare su scenari improbabili. Se l'avvio è il "consueto" suono alla Unsane, la successiva "Another Fucking Word To Say We Miss You" introduce elementi psichedelici sotto alla rabbia belluina come degli Isis al quadruplo della velocità.
Il terzo brano "Post Crucifixion" assume il sax di Luca Mai (Zu) per triturare il metal e l'hardcore creando un monumento sonoro con pochi eguali nel genere (penso giusto ai The Mass). Solo due minuti ma pagherei oro per un album con questi ingredienti.
"Black Coffee Breakfast" parte con un suono math-rock albiniano gonfiato con gli steroidi e un riff ripetuto alla nausea che deflagra in un noise scartolato facente da ponte ad una partitura ambient-drone che minuto dopo minuto sale in un attacco di violenza alla Through Silver In Blood dei Neurosis. 10 minuti di esperienza da non perdere.
"Abyss Earth" comincia invece con droni bassi alla Sunn O))) e interferenze altissime e deviate (ricordandomi i miei concittadini Ur). Più di 7 minuti che portano a sorpresa l'ascoltatore in un baratro da cui vorrà uscire al più presto. Grande scelta di gusto porlo al quinto posto nella scaletta: qualsiasi altra band l'avrebbe messa in coda all'album perdendo però l'effetto claustrofobico.
"Clopixol" traghetta l'ascoltatore nella luce: doom metal psichedelico tra Melvins e Neurosis, mentre "The Same Breath" vede ospite nientemeno che Eugene Robinson degli Oxbow in un brano malato sospeso su riff luciferini e scariche nervose ormai sì "alla Dead Elephant".
Siamo alla fine dei quaranti minuti a noi concessi, "The Worst & The Best" urla l'agonia dell'elefante impazzito estraendosi un break centrale ammiccante spezzato dai rintocchi di un finale d'album da applausi.
Disco italiano dell'anno. E di quelli da ricordare nei decenni a venire.
[Dale P.]
Canzoni significative: tutte.
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