E' in atto gia' da alcuni anni una rivisitazione moderna dell'Heavy Metal grazie a gruppi quali The Sword e Saviours che hanno cercato di rinvigorire il genere partendo dal suo interno.
Ma esiste pure una scena che sta usando lo stesso metodo per quanto riguarda il lato piu' duro del rock. Vengono in mente Dzjenghis Khan, Graveyard, Radio Moscow, tanto per citare qualche nome in ordine sparso. E Danava.
Partiti come band di (hard) rock space/ progressive, sono arrivati a farsi conoscere con l'ottimo "Unonou" di qualche anno fa, guarda caso inciso per quella Kemado, etichetta che si occupa pure delle uscite dei sopraccitati Sword e Saviours.
Con questa terza prova il quadro cambia. Non intendo dire che il quartetto abbia abbandonato completamente la rotta iniziale ma, dal versante progressivo che si respirava nei solchi precedenti, e' passato ad un rock piu' classico, piu' asciutto, insomma senza troppi fronzoli. Si ha come l'impressione che il gruppo abbia voluto ritornare con decisione alle origini del suono. Qui vengono a galla mostri sacri quali Cream, Blue Cheer, Captain Beyond, perfino Pentagram invece di Hawkwind e Queen. A volte questo album suona talmente vecchio (o "vintage" se preferite) che l'involucro risulta comunque fresco ed elettrizzante, quasi ci trovassimo di fronte ad una novita'. Un piacere per le orecchie ascoltare brani come "Shoot Straight With A Crooked Gun", "White Nights Of Murder", "The Illusions Crawls". Ma tutto il disco sa farsi valere e convince pienamente.
Una proposta in cui punk, rock e metal primordiale vanno liberamente a braccetto come ai bei tempi quando le barriere non esistevano, ispirata, allettante e, permettetemi di dire, creativa, da far venire l'acquolina in bocca. Poi non venite a dirmi che non vi avevo avvisato.
[Cristiano Roversi]
Canzoni significative: tutte.
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