Prendo in mano "Jane Doe" una volta ogni tanto, spesso per cercare una canzone da infilare in qualche compilation. Parto da "Concubine" e mi ritrovo a scorrere tutto il disco con spaventata ammirazione.
Finisce che non metto nessuna canzone nella compilation, anzi non la faccio proprio, e mi ritrovo di nuovo ad ascoltare l'album.
Mi succede con pochi dischi: Spiderland degli Slint, ...And The Circus Leaves Town dei Kyuss, A Sun That Never Sets dei Neurosis sono alcuni di questi. Oltre, ovviamente, a "Jane Doe".
Sono quei dischi in cui ogni ascolto ti fa scattare l'applauso per l'ammirazione di qualche spunto geniale che non avevi ancora notato o che nel frattempo ti sei dimenticato.
"Jane Doe" è, senza giri di parole, un disco immenso, denso di strati e visioni difficilmente spiegabili a parole. La reiterazione di alcuni concetti lo rende quasi un album ipnotico, il continuo inseguirsi degli strumenti ha, invece, tendenze claustrofobiche.
Potete capire da soli che è un disco che cambia in base al vostro umore: può farvi impazzire (positivamente) come soffocarvi (negativamente) nel giro di pochi minuti.
"Jane Doe" è il trionfo dell'estremizzazione ed il parto di menti illuminate che si ritrovano a mescolare la materia hardcore con il noise, lo stoner ("Hell To Pay"), il doom (la title-track, "Phoenix In Flight"), il grind e chissà cos'altro di nascosto fra le pieghe di un suono denso e paragonabile solo ad una colata lavica.
Un album spaventoso e unico nel suo genere e, per sua natura, irripetibile.
[Dale P.]
Canzoni significative: tutte.
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