"Lazarus Bird" dimostra come i Burst siano una band coraggiosa e con il forte intento di evolversi. Già con "Origo" di tre anni fa i cinque svedesi lasciavano vedere che sarebbe seguito un allontanamento dal modus operandi tipico del post-core degli esordi, favorendo una vena progressive che in questo nuovo capitolo ha preso decisamente piede.
Le nuove songs sono più lunghe ed intricate che in passato, comprensive ora di dilatazioni e sospensioni più marcate che, alternandosi con le aperture più metalliche, creano un interessante sistema di pieni e vuoti.
Tenuta a bada l'influenza dei Mastodon nel riffage più impetuoso (anche se l'incipit dell'ottima "I Exterminate The I" viene inevitabilmente dai quattro di Atlanta, così come l'ispirata "Cripple God" e l'altretanto ben fatta "Nineteenhundred"), le atmosfere più decadenti vengono dagli Opeth, già nome che tornava spesso alla mente in "Origo". Complicate quindi le forme e le costruzioni, c'è più spazio per linee vocali pulite che sono l'alter ego dello screaming di Linus Jagerskog, non sempre convincente nella sua performance, questo va detto. Ci sono buone idee in "Lazarus Bird", da qualche parte non sempre sviluppate in maniera eccellente ("Momentum", dopo l'introduzione rarefatta finisce proprio quando sta defintivamente per incendiarsi), ma altrove ben bilanciate tra ricerca armonica ed intelligenti progressioni. "(We Watched) The Silver Rain" è una delle cose migliori mai mostrate dai Burst, dove scorie post-core trovano vie di fuga prog su atmosfere cupe ed un riff reiterato semplice ma decisamente efficace. L'opener "I Hold Vertigo", pur mantenendo un'ottima coerenza testuale, muta forme continuamente grazie anche ad una serie di stacchi e zone di rilascio magistralmente amalgamate con le parti più dure. Di buon effetto anche il finale con "City Cloaked", che va spegnendosi da qualche parte negli strati più alti dell'atmosfera.
I Burst si confermano una delle migliori realtà europee del post-core metallico in evoluzione, capaci di perpetuare quella cupezza gelida tipica dei conterranei e seminali Breach (anche se i risultati sono evidentemente differenti), adesso capaci di delineare uno stile più personale che in passato, finora il più evidente punto debole dei nostri. Vedremo se questo è il passo giusto che li condurrà alla consacrazione, attendendo di vedere cosa combineranno col prossimo albo.
[Marco Giarratana]
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