La spiaggia. La pace, la gioia. Le chitarre acustiche che suonano per le orecchie di giovani ragazze. La palla che vola, tocca mani ustionate e cade in acqua. I corpi che si tuffano. Il suono leggero delle onde.
Un rombo mostruoso. Le urla, ben presto soffocate dalle mani del mare. E, sempre, quell'interminabile rombo.
La morte, la distruzione, il pianto. La pace. Il lento recupero, la ricostruzione. La distruzione, ancora. Definitiva. La morte. Il pianto di un pianeta intero.
Questo è lo sviluppo musicale di "Flood". Uno sviluppo lento. Come lento è il ritmo cinematografico del cinema orientale. Soffermarsi sui particolari, spesso trascurabili per noi voraci "yankee", rende speciale e magico il loro modo di raccontare una storia per immagini. "Flood" è cinema in musica. "Flood" può essere visto come un lavoro estremo: i primi minuti di chitarra acustica possono sembrare interminabili. Ma è solo il preludio di quello che verrà; necessario per calarci nell'ambientazione della storia.
"Flood" è l'ennesimo parto di un gruppo geniale in continua evoluzione. I Boris sono dei registi, pazzi e geniali, che non seguono un filone ma sperimentano senza limiti con i pochi mezzi che hanno a disposizione. "Flood" ci insegna che basso, batteria e chitarra sono visivamente potenti quanto una macchina da presa.
[Dale P.]
Canzoni significative: Flood.
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