I canadesi si sono guadagnati una discreta schiera di fan nel corso di questi anni grazie ad un buon rock psichedelico in bilico tra il classico riff anni 70, synth di scuola Pink Floyd e qualche svolazzo heavy doom.
La band si presenta al nuovo appuntamento discografico orfana della cantante Amber Webber e del batterista Joshua Wells e così i Black Mountain diventano inevitabilmente ancor più McBean-centrici. Il barbuto chitarrista si fa carico praticamente di tutte le parti vocali (subentra ai cori e come seconda voce Rachel Fannan degli Sleepy Sun) e qualcosa sembra essere cambiato anche nel songwrting che vira, nelle parti più tirate, verso un sound heavy ispirato agli anni 80. Certo, rimane l'impronta psichedelica e il lavoro ai synth di Jeremy Schmidt è sempre elemento imprescindibile, ma pezzi come "Future Shade" o "Licensed To Drive" potrebbero essere usciti da un'improvvisa svolta psichedelica dei primi Iron Maiden e il tentativo non sembra perfettamente riuscito.
Il disco suona molto meglio quando si torna al classico riff hard rock come nel caso "Horns Arising", dove la chitarra di McBean ben si sposa con l'atmosfera psichedelica del brano e il gruppo si lascia finalmente andare ad una bella cavalcata elettrica.
L'album regala qualche soddisfazione qua e là, ma presenta anche momenti meno interessanti come l'intermezzo "Closer To The Edge" che non aggiunge nulla all'opera o "High Rise" dove la band sembra più attenta a pestare forte che a creare la giusta atmosfera. L'apice di un disco non memorabile si raggiunge con la conclusiva "FD'72", brano più raccolto, ispirato al miglior Bowie, dove McBean offre un'interpretazione vocale sorprendente.
In conclusione, dopo l'ottimo "IV", uscito nel 2016, era lecito aspettarsi un po' di più.
[Francesco Traverso]
Canzoni significative: Horns Arising, FD'72.
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