E' come se, all'improvviso, il grigio imperterrito di questa citta' si schiudesse come un sipario di cartapesta per scoprire la maestosita' del vero mondo circostante. Ogni volta che parte "Sundown" fa sempre lo stesso effetto: immagini di rosso fuoco si accendono laggiu', in fondo al deserto dove l'orizzonte tremola sotto la scure del caldo e dove i venti estremi innalzano tempi dalle sinuose colonne mobili.
Le penetranti distese di suono che si propagano come gas multicolore sono parenti prossime degli Earth piu' recenti e ariosi ("Visions In The Dust"), imbevute dell'ascetismo cosmico dei Popol Vuh e attraversate dal gracile isolazionismo di Jack Rose ("Cavern Hymn") e da echi pastorali dell'Harvestman di "Lashing The Rye" ("Night's Shroud", "Flathands").
Le sonorita' generate dai Barn Owl non sono una novita', ma provate ad opporre resistenza ai movimenti sospesi ma incessanti dei dieci brani di "Ancestral Star". e' un'ambient/drone di rara raffinatezza ed eleganza emotiva questa, sintetizzata alla perfezione dalla title-track, in cui sottili veli sonori si sovrappongono per dare vita ad un lungo flusso che sfocia nel progressivo innalzamento di una marea di suoni granulosi che ricorda molto da vicino i Nadja del meraviglioso "Thaumogenesis". Negli scenari dei Barn Owl ci sono albe minacciate da improvvise perturbazioni, piccole luci nascoste che si illuminano in sequenza, sciamanici corridoi vocali che riempiono l'aria e che conducono al cospetto di "Light From The Mesa", che incarna il significato del sostantivo «imponenza». Un flusso di landscapes sonori affascinante e coinvolgente che mette in moto la sensibilita' dell'ascoltatore in un viaggio libero dai legami dello spazio e del tempo.
[Marco Giarratana]
Canzoni significative: Light From The Mesa; Ancestral Star; Visions In The Dust; Flathands; Night's Shroud
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