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Alice In Chains - Live (Columbia)

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Alice In Chains - Live
Autore: Alice In Chains
Titolo: Live
Anno: 2000
Produzione:
Genere: rock / grunge / metal

Voto:



Grandi. Grandissimi. Gli Alice In Chains sono stati forse uno dei gruppi più significativi degli anni 90. Purtroppo il loro futuro non è roseo. Ogni tanto rientrano in studio per cercare di fare cose nuove ma a causa dei problemi di Layne non ne ricavano più di tanto. Questo live permette di rivivere momenti magici di quella stagione che va dal 1990 al 1996. La prima traccia è parte di un momento storico: 22 Dicembre 1990. Seattle. Cosa vi dice questa data? Il primo vero concerto dei Mookie Blaylock (che poi sarebbero diventati i Pearl Jam), il giorno prima del compleanno di Eddie Vedder. Pensate che concerto. Alice In Chains con spalla i futuri Pearl Jam. Bleed The Freak però non è indimenticabile come quella notte. Neppure Queen Of The Rodeo (registrata a Dallas). Una canzone un po' sfocata e tirata via ma comunque grintosa. Le cose iniziano ad andare alla grande dalla 3 traccia. Non c'è più Mike Starr al basso ma Mike Inez e l'anno è il 1993, ora i nostri hanno delle grandi canzoni nel repertorio e sono tra i gruppi più grandi al mondo. Ed ecco Angry Chair. Bella. Malata. Intensa. Subito dopo, senza neanche un secondo di pausa attacca Man In The Box. Una delle canzoni più belle del gruppo (il disco è Facelift) e dal vivo si sente tutta la grinta di Layne che dopo questo disco può essere considerato come uno dei migliori cantanti dei nostri tempi. Man in The Box spacca di brutto e sentirla così viva e potente mi fa star male a pensare che non vedrò mai gli Alice In Chains dal vivo. Love, Hate, Love è una delle canzoni più grunge scritte dal gruppo (e ricordiamo che gli AiC sono l'unico gruppo che ha saputo codificare il genere). Lenta, triste, sofferta. Con un Sean Kinney in evidenza e la voce di Layne più viva che mai. Questo è infatti uno dei meriti del disco. L'unplugged uscito qualche anno fa faceva sembrare Jerry Cantrell il vero protagonista del gruppo, in quella splendida esibizione Layne era evidentemente fatto e non era molto presente e praticamente tutte le parti di cantato le ha fatte Jerry, portando una sonorità inedita alle vecchie canzoni del gruppo. In Live, invece, sentiamo Layne scalciare, gridare, soffrire. La sua voce è al centro di tutto, rendendo le canzoni del gruppo uniche. Se conoscete bene i dischi degli Alice In Chains non avrete mai sentito un Layne così in forma. Le versioni qui presenti sono molto meglio delle originali sotto quel punto di vista.Ma andiamo avanti a descrivere questo Live. Vi dico cosa vi aspetta, di seguito, dalla sesta traccia: Rooster, Would? e Junkhead!! Quali gruppi possono permettersi un repertorio simile? E, soprattutto, quali gruppi possono permettersi di suonare così bene dal vivo?? La 9 traccia è Dirt in versione "ubriaca e disordinata", come spiegano le note. Bhè non è male come potrebbe sembrare. Certo, non è il massimo, ma serve per rendere questo Live più vero. Anche perchè gli AiC non sono certo un gruppo di perfettini. E questo è quello che dimostra anche Them Bones grazie anche a uno dei testi più belli e paranoici mai scritti dal gruppo: "Some say we're bone into the grave...I feel so alone, gonna end up a big hole pile a them bones". God Am fa parte del repertorio più recente del gruppo. Presa da quel disco monolite che è Alice In Chains (quello mitico col cane a tre zampe), God Am è la rappresentazione stessa del disco. Pesante, tenebrosa e con la voce di Layne molto meno grintosa rispetto agli esordi (siamo nel 1996 e il grunge stava lentamente morendo), quasi una sofferta cantilena. Ma non pensiate che sia brutta, anzi dona alla canzone qualcosa di spettrale, quasi dark. La successiva Again è tosta, più cruda. Le armonie vocali del passato sono abbandonate per fare posto a una maggiore incisività delle chitarre. Sicuramente se il gruppo di Seattle fosse ancora vivo oggi suonerebbe molto simile ai gruppi nu-metal (vi viene in mente il nome Godsmack? Già. In tutti i sensi sono loro i veri eredi del gruppo). A Little Bitter sembra una canzone dei Down di Phil Anselmo, quasi blues. Se, invece dell'andamento nu-metal, avessero fatto canzoni di questo tipo nessuno si sarebbe certamente lamentato. Ma sono solo supposizioni. Il gruppo praticamente non esiste più e non possiamo sapere cosa avrebbero suonato. Una cosa è certa: l'unplugged, il box-best of e questo live sono certamente per far prendere tempo al gruppo in attesa di qualcosa di nuovo che prima o poi arriverà. Intanto ascoltiamo Live, che si conclude con una bellissima Dam That River, tratta dall'album capolavoro Dirt. Una nota di merito al disco: non aver preso troppe canzoni dai dischi multiplatino preferendo canzoni sconosciute ai più o, comunque minori (a parte il trittico inevitabile Rooster, Would? e Junkhead). Un difetto? 14 canzoni non sono tantissime e magari un doppio CD non ci sarebbe stato male. Ma parlo da fan instancabile, che ha passato l'anno ad ascoltare il box con 4 cd uscito l'anno scorso.

[Dale P.]

Canzoni significative: Man in the Box, Rooster, Would?, Junkhead

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