I dischi cosi' attesi e pubblicizzati sono sempre un salto nel buio. Ne varrà la pena di tanta attesa? Tante chiacchere spese per l'ottavo album della band di Manuel Agnelli, e poi?
E poi ne valeva assolutamente la pena.
Ci eravamo lasciati con "Ballate per piccole iene", un lavoro che aveva trovato numerosi detrattori e che aveva ricevuto la pesante eredità di quel capolavoro che è "Quello che non c'e'".
Nel frattempo, i nostri hanno pubblicato la versione inglese di "Ballate..." (scelta discutibilissima, a parer mio), si sono fatti un bel giretto negli States in compagnia dei Twilight Singers dell'amico Greg Dull, hanno pubblicato due doppi DVD contenenti tutta la storia della band a partire dai lontani esordi del 1986 e, infine, sono rientrati in studio con l'onere/onore di incidere il loro primo lavoro per la Universal.
Ed è sicuramente vero che tanta pubblicità, servizi fotografici con i fiocchi, interviste sparse ovunque e, comunque, un'importante discografia alle spalle, rendono piu' appetibile un disco, ma qui le canzoni ci sono. Ci sono eccome.
Si parte in maniera lieve e contorta: "Naufragio sull'isola del tesoro" è una piccola filastrocca minacciosa e "E' solo febbre" è una chiarissima dichiarazione di intenti ("cambiare stile/falciando teste...tradire tutti per non star solo") in cui la band sperimenta e tornano gli echi di "Quello che non c'e'".
Agnelli non ci risparmia l'abituale dose di paranoie quotidiane, di vita sporca, a volte meschina, mischiata alla dolcezza e all'ironia; ed è questo che rende i suoi testi, a volte forse discutibili, ma comunque assolutamente unici.
Il disco prende velocità con "Neppure carne da cannone per Dio", brano sincopato, claustrofobico e cattivo.
Tornano pezzi violenti, come non se ne sentivano dai tempi di "Hai paura del buio?": su tutti "Pochi istani nella lavatrice", dotata di un riff esplosivo, un ritornello meravigliosamente urlato e un bridge geniale prima del finale ("niente lava piu'bianco sai/piu' della paura che hai").
La voglia di esplorare nuovi territori musicali riemerge in "Tarantella all'inazione" e in "I milanesi ammazzano il sabato" che si reggono su chitarre sussurate e si snodano in un tutt'uno ricco di tensione emotiva.
A metà strada, si trova "Riprendere Berlino", il brano sicuramente piu' commerciale dell'intero lavoro, che si piazzerà di diritto e a breve, tra i classici della band; una canzone da sentire dal vivo come dimostrato al recente concerto del primo maggio.
Non convince del tutto "Musa di nessuno", ballata semi-acustica, ma si riparte subito alla grande con "Tema: la mia città", stupendamente incalzante e chiassosa, "E' dura essere Silvan", ironica riflessione sul ruolo che ognuno di noi e' costretto a rispettare nella vita di tutti i giorni e "Tutti gli uomini del presidente" forgiata da chitarre nirvaneggianti.
L'album si chiude con la splendida "Orchi e streghe sono soli", una sorta di ninnananna fiabesca in cui i mostri così paura non fanno.
Termina così un disco bello, anzi bellissimo, pieno di ospiti illustri, tra cui, il già citato Greg Dulli e Stef Kamil Carlens dei belgi Zita Swoon (nati da una costola dei dEUS).
In tempi, in cui il rock internazionale fa fatica a trovare nuove leve all'altezza, io mi godo, finalmente, una band rock italiana che fa impallidire molte, ma molte band straniere e che sta egregiamente continuando lo splendido viaggio cominciato una ventina di anni fa.
[Francesco Traverso]
Canzoni significative: "E' solo febbre", "Neppure carne da cannone per Dio", "Pochi istanti nella lavatrice", "Riprendere Berlino".
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