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Lo-FiMilano29/09/2011
Milano Rogoredo e' pura desolazione. Anonimi e da poco costruiti palazzi per lo piu' grigi, spesso ancora non abitati, la sede di Sky, strade deserte, la ferrovia. Se per viverci e' un posto da evitare, per un concerto e' invece ottimo: poca gente nel vicinato che possa lamentarsi del rumore, molti parcheggi. A pochi metri dalla stazione si trova il Lo-Fi, locale di cui poco si e' sentito parlare, forse perche' di recente apertura - l'inaugurazione risale, infatti, al 18 dicembre 2010. Cio' che salta subito all'occhio, una volta entrati, e' l'altissimo soffitto della sala concerti: ci sono rettangolari pezzi di polistirolo che pendono dall'alto, ma a poco servono.
A risentire della bassa qualita' acustica e' soprattutto il gruppo d'apertura: gli svedesi Kongh. I suoni inizialmente sono alti, abbastanza confusi e lievemente fastidiosi. Riescono ad esprimere la loro pesantezza - in senso piu' che positivo - nonostante questi problemi, sicuramente pero' una maggiore nitidezza avrebbe dato il giusto risalto ad un gruppo che nel 2009 ha prodotto uno dei migliori album dell'anno, "Shadows Of The Shapeless". E' un set piuttosto breve, purtroppo, solo quattro pezzi, troppo poco tempo per essere degnamente soddisfatti: i Kongh non sono ancora abbastanza conosciuti qui in Italia ed e' un gran peccato. Hanno un sound compatto, grave, massiccio, sia dal vivo sia su album, che li ha portati a supportare e dividere il palco con Neurosis, Minsk, Yakuza, Ufomammut e Cult of Luna. Sono ragazzi molto alla mano, a fine concerto ringraziano il pubblico e tornano al banchetto del merchandising.
Dopo una breve pausa e' il turno dei Dark Castle: gruppo composto di due soli elementi, Stevie Floyd alla chitarra e Rob Shaffer alla batteria (che, tra l'altro, e' pure nei Monarch). Anche in questo caso i suoni non aiutano l'esibizione, se su disco risultano sufficientemente pieni, dal vivo la mancanza di un basso si fa sentire. Il batterista tiene testa alla poca incisivita', alla lunga i brani tendono alla monotonia facendo nuovamente rimpiangere la scelta di far aprire la serata ai Kongh. Lo sguardo di Stevie infonde quel tanto di rabbia che traspare dagli album, ma che questa sera non riescono a comunicare in musica.
Avere gli YOB in Italia sembrava impossibile. Un sogno, per molti. Mike Scheidt si aggira per il locale, segue l'esibizione dei Dark Castle e infine sale sul palco. Si toglie gli occhiali. Attimi di attesa e poi: Quantum Mystic, quale migliore inizio? Tratta da "The Unreal Never Lived" (2005), e' un lento crescendo e al quarto minuto prende del tutto il via. Ad accompagnare Mike e Aaron (Reiseberg, bassista) e' lo stesso Rob Shaffer: per questo tour - come mi dice il cantante a fine concerto, in una breve chiacchierata - Travis Foster (batterista ufficiale) non ha potuto esserci ed e' anche per questo particolare che la scaletta si ripete ad ogni data sempre uguale. Rob Shaffer "salva" quindi la serata ad entrambi i gruppi senza dar segno di stanchezza o di indebolimento. I primi quattro pezzi si susseguono senza sosta: seconda a Quantum Mysitc e' Burning The Altar, traccia d'apertura di "The Great Cessation" (2009) che regala piu' di dieci minuti di trascinante lentezza e intensita'; di "Atma" - uscito nel mese di agosto - suonano l'omonima traccia e la splendida Prepare The Ground, pezzi in cui le linee vocali sono piu' complesse rispetto alla consuetudine della band. I suoni sono migliorati in confronto all'inizio della serata, la voce rimane pero' sempre poco udibile e distinguibile. L'urlo inziale di Grasping Air resta quasi soffocato, al pubblico importa relativamente: trovarsi tra le - sfortunatamente poche - persone che hanno la possibilita' di assistere a questo spettacolo fa dimenticare le pecche tecniche. L'eterogeneita' - caratteristica che rende la bellezza degli YOB ancora piu' affascinante e rara - si apprezza in questa scaletta che, seppur limitata per le motivazioni sopracitate, attinge dagli ultimi quattro album e ne regala ogni sfumatura: brutalita', melodia, grida in growl, spiritualita', un tipo di sonorita' che si rifa' alla tradizione innovandone ogni sfaccettatura. In un'intervista del 2010 per lo Scion Rock Fest Mike afferma: "there are people that try to play slow music, but they aren't heavy in themselves, they haven't lived enough, they haven't dug deep enough": la differenza tra questo tipo di persone e gli YOB e' chiara, profondita' e introspezione sono alla base e si riflettono nella loro musica ed e' qualcosa a cui non si puo' rimanere indifferenti, soprattutto quando li si ha a due metri di distanza. Un viaggio della durata di poco piu' di un'ora che ha come conclusione Ball of Molten Lead: uno dei pezzi piu' veloci e movimentati che si interrompe di colpo, lasciando quasi spiazzati, dispiaciuti per la fine del live, ma totalmente appagati.
Speriamo che gli YOB tornino il prossimo anno in Italia con formazione al completo e repertorio piu' ampio, come promesso, magari in un altro locale o in un Lo-Fi in cui l'acustica sia stata adeguatamente curata.
[Margherita Garello]
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Recensioni dei protagonisti del concerto:
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