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Rock In IdroMilano02/09/2006Inizio il resoconto dicendo che è assai difficile provare a descrivere un concerto degli Stooges. Specie quando sei stato gettato lì dentro, in mezzo ad una folla impazzita e sottomessa alle volontà perverse di Sua Maestà Iggy Pop. Potrei cominciare dicendo che ciò che i miei occhi e le mie orecchie hanno visto e udito Sabato sera, sono stati ottanta minuti di “Potenza Cruda”. Ottanta minuti in cui i quattro hanno triturato le ossa e i timpani degli inermi spettatori. Era difficile aspettarsi una simile carica dirompente da questi vecchietti. Invece no, come il miglior vino, anche Iggy e soci migliorano invecchiando.
Ma facciamo un passo indietro. L’attesa era ovviamente altissima e sin dall’allestimento del set si poteva intuire il tipo di show che la band di Detroit avrebbe proposto di lì a poco. Davanti a noi c’era un palco ridotto ai minimi termini con due amplificatori per il basso a sinistra, una batteria al centro, quattro casse per la chitarra a destra e un’ asta col microfono davanti alle pelli. Tutto era così minimale e scarno, proprio come il Rock. Quello più verace. Appena la band fa il suo ingresso, il pubblico inizia a perdere il controllo della situazione. Davanti sfilano Ron Asheton, il fratello Scott, Mike Watt (l’ex bassista di Minutemen e fIREHOSE, un vero e proprio guru della scena underground americana degli anni 80 nonché un musicista eccellente) e infine Lui, l’animale da palcoscenico per antonomasia: James Osterberg aka Iggy Stooge aka Iggy Pop. Il tempo non sembra passare per l’iguana e infatti te lo ritrovi lì come l’hai sempre immaginato: magro, virile, lascivo e “vestito” con un paio di jeans grigi. Imbracciati gli strumenti, tra il tripudio della folla, Ron Asheton intona il Mi che dà il via a “Loose”: è un terremoto. Spintoni, gente che vola, urla, cori ecc. sono la benzina gettata su un clima incendiario. L’ emozionante “sound sferragliante” dei primi due dischi (quello che ,per intenderci, ha infatuato generazioni di “rockers” e ha scritto pagine tra le più memorabili della musica che amiamo) era addosso a noi, nel nostro sudore, urticante più che mai. Iggy è irrequieto: si dimena, sbraita ossessivamente, si arrampica sugli amplificatori, si rotola, scende dal palco, fa a pugni col microfono dopo averlo graffiato con le sue urla gracchianti e chiama dei ragazzi (con un invitante “Hey motherfuckers!, come on!”) sul palco a cantare “No Fun”. Tutti i fortunati vogliono toccare il Padrino del Punk. Una scena che ricorda ,dal punto di vista simbolico, il celebre bacio della mano a Marlon Brando ne “Il Padrino” di Francis Ford Coppola. Una ragazzina riesce anche ad appoggiare le sue manine sul deretano della belva. Di certo non potrà vantarsi di essere stata la prima (…e se è per questo neanche l’ultima). Lester Bangs, il più grande critico Rock di sempre, che in tempi non sospetti esaltava gli Stooges e “smontava” ,per usare un eufemismo, i Led Zeppelin (attentando alle credenze dell’epoca che vedevano questi ultimi sotto i riflettori mondiali e i primi a marcire nelle fogne americane) disse di Iggy Pop “E’ l’artista più intenso che io abbia mai visto e quell’intensità gli viene da una compulsione omicida che in passato l’ha reso anche l’interprete più pericoloso al mondo: si tuffava in terza fila, si tagliava coi vetri rotti sul palco e poi ci si rotolava sopra, ingaggiava risse verbali e a volte fisiche col suo pubblico.” Il discorso di Lester sembra filare perfettamente ed è praticamente impossibile non condividerne la prima parte.
Le canzoni, o meglio le “scariche”, sono prese per lo più da “The Stooges” e “Funhouse” e risultano essere ,manco a dirlo, molto più incisive e violente. Sotto questo profilo probabilmente esemplare è stata l’esecuzione di “1970”: momenti di pura Anarchia. In ogni caso, i pezzi che hanno riscosso più successo sono stati la già citata “No Fun”, “1969” (la faccia oscura di quell’ estate colorata) e la rudissima “I Wanna be your dog” (l’inno autolesionista eseguito per ben due volte durante l’arco della serata). E’ doveroso segnalare anche la presenza di Steve MacKay, il sassofonista che dette alcune pennellate “dada” e noir al secondo disco della band. Con lui vengono eseguite, tra le altre, la splendida title track e l’ incendiaria “1970”. Le sue linee melodiche (in senso lato) si incastrano egregiamente nelle chitarre sature di Ron Asheton e nello scheletro ritmico costruito dal fratello e Watt.
Avviandomi vero la conclusione ribadisco quanto sia difficile provare a trasmettere le emozioni che un concerto del genere è capace di iniettarti. Un’ ora e più di Sadismo Sonoro. Se proprio vogliamo trovare un difettino possiamo puntare il dito sulla mancata esecuzione dei brani che articolano “Raw Power”. Tuttavia “dalla vita non si può avere tutto” e quando ti trovi davanti agli Stooges hai ottenuto già troppo.
[Tommy Gun]
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Recensioni dei protagonisti del concerto:
LIVE REPORTS
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