|
Home | Recensioni | News | Speciali | [ Live Reports ] | Etichetta | Negozio | Radio |
  | rock | metal | punk | indie | experimental | pop | elettronica |
|
PalamalagutiBologna14/09/2006Per chi scrive i Pearl Jam sono il più grande amore musicale della vita. O forse il grande amore e basta. Legato in modo vergognoso ai primi 4 album come Dante lo fu con Beatrice. Da Yield in poi è come se questa creatura fosse pian pianino ingrassata negli anni, perdendo il fascino magnetico di quando era giovane. Con il recente album misi l'anima in pace e passai le giornate a riguardare video e foto degli anni magici, non senza malinconia mista a gioia.
Decisi di non andarli a vedere per non distruggere il ricordo di un tempo, ma quando mi capitò tra le mani la possibilità di avere il biglietto non ci pensai due volte. Del magnetismo di due innamorati, pur invecchiati, non si può trascendere.
Mi ritrovo quindi a Bologna, primo step di una medio-lunga tourneè in Italia, curioso ma sempre più contento di rivedere il mio unico grande amore. Seguo quindi l'esibizione dei My Morning Jacket con la stessa concentrazione e voglia di chi deve far sesso con una ragazza qualsiasi prima di ritrovarsi a letto con Angelina Jolie.
Il commento critico sulla suddetta band è parecchio contrastante. Bravi musicisti, bella strumentazione vintage ma uguali a tanti gruppi rock/psichedelici di questi ultimi anni. La voce è bella ma fin troppo presente, i chitarristi non vanno oltre al crescendo standard e la sezione ritmica è parecchio zoppicante. Immagino che negli Stati Uniti ci siano almeno un milione di band migliori di loro.
Poco prima dell'inizio del vero concerto sono agitato. Non so bene dove seguirlo. Vado avanti ma la visuale non mi convince, vado dietro ma il palco si rimpicciolisce mostruosamente. Decido di aspettarli lateralemente. Poi si vedrà.
L'intro "Master/slave" fa riscoccare la scintilla. I pensieri tipici su come avrei dovuto comportarmi vanno a farsi benedire. Mi butto nella mischia, vado davanti. Sono a pochi metri da Vedder e Gossard, tanto vicino da poterne studiare la mimica. La stessa mimica che mi ritrovo a ripetere durante i brani storici, studiata dai tempi in cui Mtv trasmise l'unplugged per la prima volta.
"Elderly Woman Behind The Counter In A Small Town" è il brano "lento" che come da tradizione apre le danze. E' un effetto diverso da quando la scelta cadeva su "Longroad". Con "Small Town" siamo catapultati subito nell'anima più vera della band. Nemmeno il tempo di rimprenderci dallo shock di rivedere il proprio amore di nuovo bello, dimagrito, con i capelli lunghi come se 10 anni non fossero passati che attaccano "Do The Evolution". La folla è in delirio e cerca di avvicinarsi a Eddie, vero e proprio leader spirituale di una generazione di capelloni e depressi. Ma lo shock continua: "Animal". Senza un attimo di respiro la band dimostra di essere una macchina da guerra, esperta e potente e, consapevole dell'indubbio carisma del cantante, si muove per metterlo ancora più in luce.
I break saranno pochi, e in quei momenti Eddie proverà a parlare in italiano, sfruttando un testo preparato molto tenero e per nulla ruffiano. Sappiamo tutti che l'Italia è per Vedder una una seconda patria. La scaletta è di quelle speciali. Basta pensare che nel primo bis hanno suonato "Black", "Betterman" e "Alive", purtroppo inframezzata dalla brutta "Life Wasted". Ma non possiamo dimenticare "Animal", "Even Flow", "Daughter" (con "It's Ok", tradotta in "Tutto Ok"), "Whipping", "Present Tense" (da lacrime), "Porch", "Why Go" e il finale intensissimo di "Indifference". Solo una cover: "Baba O'Riley" degli Who, ormai stabile nel repertorio della band. Fra le chicche il ripescaggio della rara "Alone" (B-side di Go e outtake di Ten), suonata tutta sbagliata e troncata, con un Gossard imbarazzatissimo (nel viso si leggeva un "ma perchè l'abbiamo suonata che l'abbiamo provata mezza volta?") ma comunque divertito. Segnaliamo anche "Bu$hleager" con Eddie mascherato dal presidente degli Stati Uniti impegnato in balletti e scimmiottamenti. Come sappiamo i Pearl Jam sono forti oppositori del governo attuale.
Certo, i Pearl Jam del 2006 non sono quelli del 1992 o del 1996, ma vedere persone così vive dopo vent'anni di palchi fa un certo effetto. I loro occhi brillano di una passione estrema, quelli che per la musica sarebbero disposti a dare la vita. Per loro è una missione o, semplicemente, la cosa più naturale del mondo. L'importante è che non smettano mai.
[Dale P.]
|
Recensioni dei protagonisti del concerto:
LIVE REPORTS
|