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RaindogsSavona07/03/2023
Horse Lords sono un quartetto di Baltimora attivo da una decina di anni e che ha visto il proprio culto crescere anno dopo anno, disco dopo disco. Personalmente li ho scoperti con l'ottimo "The Common Task" del 2020 e sebbene il successivo "Comradely Objects" non mi abbia fatto gridare al miracolo è stato per lungo tempo in heavy rotation.
Era quindi un'occasione imperdibile quella di saggiare un gruppo dal vivo proprio nel momento in cui sta iniziando a farsi conoscere da una platea più vasta. E l'occasione, per noi liguri, ce la offre il Raindogs in collaborazione con la sempre attentissima DisorderDrama.
Il quartetto si pone sul palco con un focus centrale su batteria e percussioni lasciando ai margini chitarra e basso. Non è un caso: Horse Lords sono prettamente una band ritmica dove la melodia trova veramente poco spazio se non in modo contorto. La chitarra d'altra parte non smette di arpeggiare molestamente accordi stravaganti, storti e dissonanti (c'era odore di nord Africa in più di una sequenza armonica) creando un loop sonoro da cui non c'è via di scampo. Il basso è l'unico che cerca di quadrare il tutto con tempi semplici sempre sul beat.
Il suono degli Horse Lords, nel caso non li conosciate, si può descrivere in un mix fra kraut rock e math rock, come dei Battles senza le parti giocose o il suono di uno stacco dei King Crimson ripetuto in loop come se si fosse incastrata la puntina. Se siete pratici di math rock magari vi ricorderete di band come ABCS, ecco.
Come detto poco sopra la melodia è praticamente azzerata a meno che non intendiate melodia un sassofono perso in scale o in qualche drone o in un delirio free. Un incubo? Tutt'altro. A loro modo riescono ad essere divertenti e proprio il loro "groove" è la marcia in più di un suono che altrimenti sarebbe un semplice esercizio di scale e tempi dispari.
Ad aprire la serata la complessità chitarristica di Julia Reid, sperimentale oltremodo, tanto che forse un aiutino per capire cosa stesse facendo lo avrei gradito. Armata di una chitarra personalizzata con tasti mobili per avere un intonazione per numeri interi (letto altrove perchè lo intuivo che fosse qualcosa di simile ma mica mi era chiaro) ha suonato un set le cui orecchie occidentali abituate a certe note hanno gridato dolore ad ogni arpeggio. Un set molto nerd, senza dubbio unico e particolare. Se devo riassumere per sommi capi è stato come ascoltare John Fahey scordato.
[Dale P.]
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Recensioni dei protagonisti del concerto:
LIVE REPORTS
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