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Filaforum
Milano
05/02/2004
Viene difficile commentare questo concerto. O per lo meno iniziare. Ci sarebbero miliardi di cose da dire e tutte realmente importanti. Potremmo iniziare parlando di quello che mi aspettavo: un gruppo spento, noioso, freddo, con le solite truzzaggini e dimostrazioni di bravura a tutto andare. In realtà il gruppo è stato molto più truzzo del normale. L'inizio è lasciato ad un mini-filmato che ripercorre la carriera dei Dream Theater dall'esordio ai giorni nostri. E se viene da ridere a rivedere le loro faccie (ma soprattutto i loro vestiti) e se pensi che certe cose se le potevano evitare, bhè, quando salgono sul palco capisci di aver di fronte una macchina da guerra. Premessa doverosa. Non c'è niente di divertente nella musica della band, non c'è traccia di quello che dovrebbe essere il rock'n'roll, non c'è nessun rispetto per la forma canzone, non un minimo di sperimentazione, nessuno spunto innovativo. Eppure ti ritrovi a guardarli, a cercare di contare questo e quel tempo, a capire quante note al secondo suona John Petrucci, a vedere quanto un bassista può risultare inutile quanto bravo o sentire quanto và in alto LaBrie. Le canzoni dimentichiamocele, ma non è una novità. La band ha sprecato tutto il proprio talento nello scrivere Images & Words (che rimane un monumento musicale) e ha passato più di dieci anni a far vedere a tutti quanto è brava. Sono i migliori. Bhà, forse. Ma come ai Kiss si chiedeva di intrattenerci lo stesso chiediamo a Portnoy e co. E così fanno. Per ben 3 ore. Alla faccia di tutti i gruppi indie/rock/post che si stancano a suonare dopo 40 minuti. Potrebbe essere l'inferno. O il paradiso. Quindi di cosa parliamo??? Allora, Portnoy, dopo Caught In A Web ha fatto il suo assolo da 5 minuti. Esercizietti senza capo nè coda sparati alla velocità della luce. Ci ha fatto sentire tutti i pezzi della batteria, così la Tama per il prossimo disco gli passa una nuova batteria. Aveva 3 casse, miliardi di piatti, tom a schifo e campane, campanacci e tutto quello che potete trovare in un negozio di batteria. Bello, eh? Il bassista ha fatto milioni di note di cui la maggior parte francamente erano inutili, ma tanto non le sentiva nessuno. Magari, fra qualche anno si accorgerà di aver sbagliato strumento e che quello che sta suonando non è una chitarra come gli hanno fatto credere. Jordan Rudess. Molto meno ridicolo di due anni fa grazie ad una bella testa pelata (al posto di quel caschetto orribile che ha mostrato un paio di anni fa) ma, purtroppo, il nuovo taglio è l'unica dimostrazione di buon gusto di tutta la sua vita. Suoni orribili e, addirittura, un assolo a metà concerto! Gli assoli di tastiera andrebbero messi fuori legge. Non dimentichiamoci che, con i suoni, ha distrutto un brano monumentale come "Another Day". Petrucci, invece, al di là del dubbio gusto estetico, non è mai andato sopra le righe, suonando alla grande senza mai ostentare troppo la sua mostruosità. Diciamo che per lui ha parlato la chitarra. LaBrie. Il migliore. Non un errore, perfetto. Ottimo nel tenere il palco, velocissimo nel defilarsi durante le lunghe parti strumentali. Sembra rinato.
Molto bella la scaletta, studiata in modo da spaziare tra i brani di tutti gli album (purtroppo troppo spazio è stato riservato all'ultimo, di qualità mediocre), compreso un brano dal terribile esordio. Alla fine delle 3 ore i fan erano felicissimi, i curiosi soddisfatti, i detrattori non sapevano che pesci prendere. Difficilmente ad una band come i Dream Theater si può chiedere qualcosa di più. Per il prossimo tour dovranno inventarsi qualcosa di incredibile per superarsi.
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Recensioni dei protagonisti del concerto:
LIVE REPORTS
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