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BronsonRavenna30/09/2010
La nuova stagione 2010/11 del Bronson di Ravenna e' partita con il botto. Il locale romagnolo ogni anno propone il meglio delle nuove tendenze in ambito rock ( e non solo); in questo caso esibirsi e' toccato ad una delle band piu' complete attualmente in circolazione: i Black Mountain. Ma andiamo con ordine. Persi i Goldheart Assembly, che fidati interlocutori mi hanno detto prescindibili, a proseguire la serata di questo umido fine settembre sono stati gli australiani "Night Terrors", un curioso trio elettro acustico che si avvale di un basso elettrico, un synth, una batteria ed il theremin, un particolare strumento suonato con il solo movimento delle mani. Il risultato della proposta potrebbe essere una specie di colonna sonora per film horror anni '60. Mezz'oretta di intrattenimento per loro. Interessanti, ma nulla piu'.
Alle 23.15 salgono sul palco i cinque canadesi e, dopo una brevissima intro, attaccano con "Wilderness Heart", il brano che da' il titolo al loro ultimo album. I suoni sono potenti ma in principio la voce lascia un po' perplessi vista la tonalita' non proprio eccelsa. Le cose migliorano strada facendo allorche' il gruppo riesce a trovare un giusto equilibrio tra potenza, melodia ed un cantato finalmente convincente. All'inizio dello show sembra si divertano ad alternare i pezzi del nuovo album con quelli del precedente "In The Future". Cosi' scorrono una dopo l'altra "Evil Ways", "Let Spirits Ride" - che inizia con un riff rubato ai Queen di "Stone Cold Crazy" - e la bellissima "Wucan" facendo infiammare il numeroso pubblico accorso. Il gruppo ha la capacita' di passare da eleganti momenti psycho folk come ad esempio "Buried By The Blues" o la fascinosa "Angels" a cavalcate sonore coinvolgenti come "Old Fangs" e "Stormy High". Le nuove canzoni hanno un taglio decisamente piu' duro in sede live e centrano il bersaglio grazie anche alla buona tecnica offerta dalla band. In piu' vi e' sempre la fondamentale presenza dell'Hammond che si sposa a meraviglia con l'involucro ricordando in qualche modo l'operato dei Deep Purple. C'e' spazio anche per una notevole "Druganaut" tratta dal primo album e non poteva certo mancare l'entusiasmante "Roller Coaster", probabilmente il pezzo migliore del nuovo lavoro, che, dopo l'intro iniziale in classico stile Sabbath, si affida in seguito al delizioso intreccio di voci di Mc Bean e della Webber. Il finale viene affidato alla trascinante "Hair Song", scheggia impazzita fuoriuscita dal terzo album dei Led Zeppelin oltre alla magnifica "Don't Run Our Hearts Around" che chiude il concerto dopo poco piu' di novanta minuti. Se dobbiamo trovare una nota negativa questa e' rappresentata dall'eccessiva staticita' del gruppo. A volte danno l'impressione di suonare solo per se stessi quando invece dovrebbero coinvolgere maggiormente il pubblico. Ma sono comunque sottigliezze che nulla tolgono all'ottima esibizione dei cinque. Se in futuro sapranno risolvere questo piccolo inconveniente si potra' parlare di loro come uno dei migliori esempi (il migliore?) di come si possa suonare vintage tenendo i piedi ben saldi al presente ed anche al futuro. LET SPIRITS RIDE appunto! E cosi' sia.
[Cristiano Roversi]
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Recensioni dei protagonisti del concerto:
LIVE REPORTS
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