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Roadburn Festival 2023Tilburg20/04/2023Sono passati 9 anni dall'ultima volta che andai al Roadburn Festival. Sono successe tante cose ma per fortuna il mio gusto è sempre cambiato di pari passo a quello degli organizzatori e di tutto il mondo che ruota intorno alla manifestazione. Non è più un festival stoner / doom perchè, a parte poche eccezioni, il genere non è più interessante da parecchi anni, anche di psichedelia ce n'è molto poca. In compenso si sono aggiunti noise rock, synth wave, elettronica, post-hardcore, post-punk, black metal sbilenco. Il motto è "Redefining Heaviness" ed è un concetto che più volte si è palesato sui palchi. La pesantezza musicale varia da sempre e ciò che prima era estremo ora non lo è più: Roadburn è quindi, da parecchi anni, la versione heavy del fratellino "Le Guess Who?". Se avete budget e abbastanza apertura mentale farsi quei due festival vuol dire vedere ogni anno tutto quello che di meglio offre il panorama musicale più o meno underground e più o meno alternativo. Una sorta di fiera di presentazione dei possibili scenari futuri.
Rispetto a 9 anni fa il festival si è ingigantito. I palchi sono 5: 3 di generose dimensioni, 2 piccoli. Il merchandise è gestito dall'organizzazione (quindi non sperate di comprare dischi direttamente dalle band) e le distro sono le solite di sempre (Burning World, Southern Lord, Svart, Exile On Mainstream..). Il cibo è presente in grandi quantità e l'alcool pure. I prezzi sono però ovviamente lievitati. Il merchandise ufficiale ha più o meno questo range di prezzi: 3/5 euro l'adesivo, 7/10 euro la spilla o la toppa, 10/20 la cassetta, 20 il CD, 40 il vinile, 30 la maglietta a maniche corte, 40 la maglietta a maniche lunghe. Sappiatelo e non lamentatevi quando verrete in negozio a cercare certi dischi. Ovviamente non conviene andare ad un festival di questo tipo e fare le pigne: infatti mi sono riempito la valigia di dischi.
Non è immediato mettersi nella giusta condizione mentale. Diciamo che il primo giorno si vede quel che si riesce. Bisogna entrare nel mood di macinare parecchia strada per saltare da un palco all'altro, di tagliare dei set, di mettersi in coda per entrare nei palchi piccoli, di capire quale è la posizione migliore per ascoltare e vedere bene (io sono alto un metro e 80 ma mediamente in Olanda sono alti 7 metri e mezzo). Capire dalla guida se c'è qualche artista che vale la pena scoprire o qualche big name che può essere tranquillamente saltato in favore di altro. Banalmente ogni persona ha il suo Roadburn. Ciò che per me è stato fantastico per altri era una belinata (e viceversa), ciò che per alcuni era imperdibile per me era soprassedibile.
Questo è stato il mio percorso:
Day 1 - Giovedì.
- Predatory Void Progetto di due Amenra (basso e chitarra) che prendono alla voce Lina R per fare più o meno le cose che fanno con la band principale e nei relativi side-project più o meno violenti. Qui l'ago della bilancia pende sul black metal ma le parti migliori sono quelle rallentate con i riffoni. Lei ha una voce malvagia il giusto e una bella presenza. Un riscaldamento e poco più. 6/10
- Burst Nome storico del post-hardcore dei primi anni 2000 grazie a dischi iconici come "Origo" e "Prey On Life" usciti per Relapse. Sono 15 anni che erano fermi ma sono tornati in strada supportati dalle ristampe dei loro dischi da parte di Svart. Ai tempi mi piacevano molto ma il mondo è inevitabilmente andato avanti. Burst invecchiati mostrano più i difetti che i pregi di un progetto che era meglio lasciare nella memoria. 5/10
- Esben And The Witch Ero molto curioso di assaporare il trio inglese, soprattutto perchè presentava il nuovo "Hold Sacred" in uscita a Maggio. Non ne sono rimasto deluso sebbene la loro presenza live sia veramente scarsa (e i leggii non aiutavano) e tutto incentrato verso Rachel Davies. Voce strepitosa ma ci vuole di più per impressionare il pubblico. Ecco perchè, loro malgrado, rimarranno sempre un nome di nicchia. Ma chi li ama se li coccola e gode proprio per la loro fragilità. 7/10
- Julie Christmas Julie la vidi tanto tanto tempo fa. Era il 2006, suonava con i Made Out Of Babies in apertura dei Neurosis (report qui). Lei sul palco era una matta completa e completò la serata lanciandosi tra il pubblico durante il finale di concerto dei Neurosis. Già conoscevo i Made Out Of Babies, band che ha raccolto troppo poco perchè troppo in anticipo con i tempi (ora il loro noise rock sludge sarebbe perfetto), e quindi da lì scattò l'amore eterno. Ovviamente ho amato i Battle Of Mice e spero sempre in un nuovo progetto serio che la veda coinvolta. Al Roadburn viene accolta da super star e la cosa mi lascia veramente sorpreso perchè avendo una discografia misera e uno stile di vita piuttosto defilato non pensavo godesse di così tanta stima. Il set inizia con Bones in the Water dei Battle Of Mice e si chiude con due brani dei Made Out Of Babies (Peew e Yellow And Black) in mezzo brani del suo primo disco solista e alcune novità. Julie non si risparmia: sale sul palco armata di forbici e inizia tagliandosi i capelli. Gesto che terrà tutti in tensione temendo di peggio. Julie continuerà tagliandosi il buffo vestito che aveva addosso (con tanto di luci) e non risparmiando neanche una goccia di sudore. Uno show fisico di grande potenza sonora. D'altra parte con lei nella band c'era Johannes Persson dei Cult Of Luna e John LaMacchia dei Candiria a garantire il giusto peso post-metallaro. 9/10
- Bo Ningen Non li conoscevo. Leggo nella guida che sono giapponesi e che suonano psichedelia. C'è da aggiungere altro? La band propone un set che ricorda i vecchi Roadburn (diciamo tipo quelli degli Gnod in cui non sai come potrebbero svoltare) passando da heavy rock settantiano a brani quasi rappati con in mezzo acidità kraute e deliri assortiti. Un sacco di mossette da teatro kabuki e il gioco è fatto. Difficile chiedere di meglio. 8/10
- The Soft Moon Non mi fanno impazzire e confermano le mie perplessità nel loro set. Il loro sound è totalmente anni 80 dark ed è adatto ai nostalgici dell'epoca e ai più giovani che si fanno incantare dall'ambientazione ma a me sti riverberoni sulle chitarre non prendono molto. Meglio quando si lanciano in parti industrial ritmiche. 6/10
- France Ghironda, basso e batteria. Partono con una nota e un ritmo e li tengono per tutto il set (di un'ora), ispirati dal classico disco di Tony Conrad e Faust "Outside The Dream Syndicate". Eroi. 6/10
Day 2 - Venerdì.
- Ashenspire Qui la scelta si fa ardua. Contemporaneamente suonano i Bell Witch che presentano il nuovo "The Clandestine Gate" ma al prezzo di un loro set posso vederne due altrettanto interessanti. In più i Bell Witch li ho visti qualche mese fa. Quindi opto per la sala Engine Room che vede la presenza degli scozzesi Ashenspire. Il loro disco "Hostile Architecture" è uno dei miei preferiti dello scorso anno ed ero curioso di saggiarne la resa live. Al di là di un suono un po' confuso la band non si risparmia e non delude per niente. L'aspetto "fluido" si sposa brillantemente con il sound "fluido" che mescola post-punk e black metal inserendoci brillantemente oci ogni elemento che può stare in mezzo. Il concetto di "redefining heaviness" è 100% Ashenspire. Più che promossi. 8/10
- Marlene Ribeiro L'ex bassista degli Gnod ha recentemente pubblicato il bellissimo "Toquei No Sol" che mescola folk, elettronica gentile, ritmi e rumori di natura. Una bella freakettonata che aiuta nel passaggio tra inverno e primavera. Scelgo quindi di godermela dal vivo, anche perchè Marlene la vidi proprio al Roadburn con gli Gnod in un meraviglioso concerto. Purtroppo a parte una sorta di karaoke sopra le basi non c'è molto di più. Qualche aggeggino a fare suoni e loop, la sua voce, il flauto e un brano con il basso Marlene offre un set più da "Le Guess Who?" che da "Roadburn". Non per colpa sua, sia chiaro, ma al di là del piacere di ascoltare ad alto volume il suo disco rimane poco altro. Comunque il disco è uno dei più belli del 2023, quindi cercatelo e ascoltatelo. 6/10
- Wolves In The Throne Room Ecco una band che è riuscita ad essere presente fin dalle edizioni del festival. Il loro straordinario mix di black metal, psichedelia, post-metal, sludge riassume in qualche modo il sound Roadburn e, non a caso, è una delle mie band preferite in assoluto. Sebbene li abbia visti dal vivo qualche mese fa decido di bissare conscio che non ne sarei uscito sazio, anzi. La scaletta è più o meno la solita (rispetto a Milano hanno suonato un brano di meno) ma qui ci sono delle visual di effetto e un audio spettacolare. Più qualche intermezzo dronico d'effetto. Questo è senza dubbio l'apice di una band che sa come presentarsi al pubblico dandogli solo il meglio. E se amate i generi proposti vi sarà impossibile stare fermi. 9/10
- Brutus I belgi Brutus non sono una band che ci si vanta di ascoltare. Eppure è una delle poche ad avere nella scaletta delle vere e proprie hit cantate da tutti. In più sono un trio che si percepisce che sia nato nel mito del Roadburn Festival e di tutte quelle band "post" che hanno sempre gravitato. Ne sono la versione "soft" e "pop" ma non è certo una band furbetta, anzi. Se non li conoscete sono un trio capitanato dalla cantante batterista Stefanie Mannaerts, accompagnata da due fedelissimi gregari decisamente poco carismatici. Proprio questo strano equilibrio rende la band speciale, come fossero degli amici qualunque che fanno qualcosa di unico. Inutile dire che la scaletta è infarcita di classici ("War" infilata per seconda, così tutto il pubblico era già ben caldo) e suonata alla perfezione. Stefanie è un vero piacere da guardare suonare: vive ogni colpo e ogni nota con passione, senza fare chissà che acrobazie ma cercando il modo per "spaccare" sempre. 8/10
- Portrayal Of Guilt Il trio di killer metal noise di Austin è un buon modo per ritornare verso sonorità decisamente pesanti e c'è da dire che loro ridefiniscono la pesantezza con forti dosi di metallo sludge e black metal. Mi sono venuti in mente i Today Is The Day più oscuri e nevrotici ma c'è anche molto di più. Ideali da rivedere in un piccolo club armati di tappi e vicini che lanciano pugni. 7/10
- Deafheaven Mi sono perso il set in cui hanno suonato tutto Sunbather e provo con quello in cui suonano tutto Infinite Grinite. Purtroppo però la loro formula non mi aggrada granchè sebbene ne apprezzi la volontà di "ridefinire la potenza". Senza Subather molte band attuali non esisterebbero o non avrebbero trovato il coraggio di fare black metal senza dover essere per forza dei malvagi norvegesi ma Infinite Granite è tutt'altro genere. Molto più post rock e pop e certamente ha bisogno di essere ascoltato parecchio in casa per essere apprezzato. senza voto perchè ne ho comunque assaggiato pochino.
- Backxwash Avevo molta curiosità per il set di Ashanti Mutinta, donna di colore proveniente dal Canada ma nata uomo nello Zambia. I suoi ultimi tre dischi (non sto a citarli perchè hanno titoli lunghissimi) sono fissi nel mio lettore portatile da anni e mi tengono compagnia nelle più svariate occasioni. Mescolanti industrial, rap, dub, metal i suoi lavori sono belli intensi pur non lesinando in groove e ritornelli che entrano in testa. Non credo che abbia mai suonato dal vivo quindi il concerto è un evento nell'evento. Sul palco si presenta da sola (a parte un paio di pezzi con la chitarrista dei Pupil Slicer) tipo "karaoke". Ma c'è da dire che l'intensità della performance e la qualità del prodotto fa passare il tutto in secondo piano (che poi al Coachella sono tutti così i concerti...) e si percepisce chiaramente un'artista vera e appassionata, visibilmente emozionata fin dai primi secondi del set ma grintosa nel proporre rime e beat non proprio "easy". temevo una delusione invece è stata ben oltre le più rosee aspettative. 8/10
- Elizabeth Colour Wheel A parte il nome non conoscevo molto bene gli Elizabeth Colour Wheel. Li ho ascoltati ma non mi sono rimasti molto impressi. E' esattamente la sensazione che ho ricavato dal loro live: fanno un sacco di cose che mi piacciono ma rimescolate un po' troppo alla rinfusa rendendomi l'ascolto un po' troppo scattoso. Senza dubbio la voce (e la presenza) della cinese Lane Shi è di tutto rispetto ma la band mi sembra un po' pigra nel suo essere dadaista. Un po' di delirio, un bel riff, scarica black metal, delirio, riff sludge. Forse anche per loro avrebbe giovato un locale piccolo piccolo (suonassero in un locale da 50 persone vicino casa andrei a vederli e probabilmente me li godrei anche) ma in questo contesto di fuori classe penso che debbano fare ancora un po' di strada. 5/10
Day 3 - Sabato
- KEN Mode KEN Mode è una band che ho sempre amato senza strapparmi i capelli ma l'ingresso in formazione della sassofonista/tastierista Kathryn Kerr ha giovato non solo a livello sonoro ma in qualche modo li ha resi più completi. L'ultimo disco "Null" è il loro capolavoro e uno dei dischi più belli degli ultimi anni, non solo in ambito noise rock/metal. Dal vivo non solo non mi hanno deluso ma hanno fornito uno dei set più coinvolgenti dell'intero festival. Suono devastante e una performance sofferta e incazzata ma allo stesso modo godibile. Alcuni gruppi "minori" hanno patito la grandezza del palco mentre loro ne sono usciti ben più forti. Eccezionali. 9/10
- Duma & Deafkids Uno dei set più pubblicizzati del festival è stato il più "pacco". Mi piacciono entrambe le band (Duma hanno fatto pochissimo ma quel poco è di grande effetto) ma questa collaborazione poteva dare qualcosina di più. Eppure Deafkids ne hanno fatte di noteveli: Rakta e Petbrick su tutti. Ma evidentemente distanza e poco tempo a disposizione per le prove non ha aiutato molto a trovare l'idea forte. Anzi di idee non ne ho sentite manco una. Se idee vuol dire percussioni + suonini + voce perenne. Tutti a voler far sempre qualcosa, pure senza inventiva, non basta. 4/10
- Chat Pile La sera prima hanno fatto un set segreto in cui hanno suonato brani dei primi EP e una cover dei Rage Against The Machine. Chi c'è stato ha detto che è stato il concerto più bello del festival. Chat Pile stipano il main stage all'inverosimile (non ho visto mai così tanta ressa) e non deludono gli astanti, se non forse per dei volumi che potevano (e dovevano) essere più esagerati. Raygun Busch (miglior nickname di sempre) intrattiene il pubblico con umorismo "noise rock" e la band è perfetta nell'esecuzione. Nell'insieme sembrano i Viagra Boys che fanno alternative noise con i riff dei Korn. Orribile? Ascoltatevi "God's Country", uno dei migliori dischi usciti negli ultimi anni. E se potete andate a sentirli dal vivo. "This is the best day of my fucking life" è il perfetto riassunto di cosa sia il Roadburn: solo qui una band semi sconosciuta può suona nel mainstage davanti a centinaia di persone che conoscono a memoria le tue canzoni. La band che racconta e rappresenta al meglio questi ultimi anni. 9/10
- Candy "Heaven In Here" è uno dei migliori dischi grind-metal-core dell'ultimo periodo, ovviamente pubblicato da Relapse che queste cose le sa riconoscere al volo. I Candy sono giovanissimi ma sembrano già lanciati per rivoluzionare il mondo metal moderno un po' come fecero ai tempi i Code Orange (Kids). Un set ovviamente cortissimo finito con 5 minuti di harsh noise violento. L'attitudine è stata premiata dal pubblico che ha creato pure un piccolo mosh pit (cosa rarissima da queste parti) e che si è fatto resettare il cervello con una bella dose di incazzatura giovanile. Se è questo l'inizio ne vedremo delle belle. 7/10
- Cave In Nel primo dei due set del festival i Cave In presentano una scaletta con brani rari e curiosità. E' quindi un concerto per aficionados (e infatti mi ritroverò a fine concerto bello largo nelle primissime file) e che solo loro potranno godere in pieno. Cover di qualità (The Cure, Fleetwood Mac, Codeine, Bad Brains, Into Another) e brani pescati dagli angoli più remoti della discografia ci regalano un concerto che rimarrà nel cuore di tanti. Gran finale con brani da da Until Your Heart Stops (The End of Our Rope Is a Noose), Jupiter (Jupiter, Innuendo And Out The Other) e Antenna (Stained Silver, tra i miei pezzi preferiti di sempre). Un concerto che ha lasciato un sorriso enorme per i mesi a venire. 8/10
- NIKA Nell'angusto spazio del Next Stage la poca gente presente sta scappando a gambe levate: buon segno! Al centro del palchetto c'è una Zola Jesus stregata: abito lungo rosso e synth autocostruiti. Lei accasciata per terra che urla al microfono mentre droni bassi vanno in risonanza cercando di buttare giù l'impianto. Un set insostenibile: lungo e martoriante, con le frequenze alte che avranno seriamente danneggiato i timpani di molti mentre quelle basse massaggiavano gli organi interni. Un premio per la follia della proposta tra Aghast e Masonna. 7/10
- Boy Harsher Assieme ai Soft Moon e ai Deafheaven i Boy Harsher sono il gruppo "hype" e fuori contesto che riempie il main stage. Su disco mi piacciono (non tutto) dal vivo complice stanchezza e nessuna particolare visual non mi hanno saputo prendere. s.v.
- Show Me The Body E' stato strano ascoltare un gruppo come Show Me The Body. Non posso dire che mi siano piaciuti ma neanche che mi abbiano lasciato indifferente. La loro proposta è particolarmente tosta: synthoni e basso iper distorto, banjo a far le veci della chitarra e una voce hardcore/post punk piuttosto nervosa. Si sente la provenienza new yorkese nell'attitudine rissaiola e nel sound crossover. Fomentano il pubblico fin dalle prime note e la gente si scatena in stage diving e salti. Alla lunga un po' noiosetti, ma probabilmente la stanchezza ha preso il sopravvento. Se vi piace il suono Earache contaminato cercate i loro dischi. 7/10
Day 4 - Domenica
- Imperial Triumphant Il grosso del pubblico è tornato a casa e i palchi diventano tutti approcciabili senza problemi e code. Anche il numero dei concerti si riduce (non di molto) aiutando le gambe e le orecchie a non cedere definitivamente. Quello degli Imperial Triumphant è uno degli show che attendevo di più. Il loro free-metal è decisamente particolare ed ero curioso di capire come rendesse dal vivo. Bene, senza tanti giri di parole. Per prima cosa mi sorprende scoprire che il bassista è l'anima solista (e pazza) di un trio che non ha cedimenti. Il chitarrista è perennemente perso in riff sbilenchi, dissonanti e criptici mentre il batterista è un mostro tentacolare (non a caso è batterista di John Zorn). Sono tre jazzisti che si divertono a suonare metal mandando in confusione il cervello degli ascoltatori. Ma c'è anche tanto noise e tanta sperimentazione. Plauso per le splendide visual, per il bassista che va a suonare in mezzo al pubblico e per la sciabolata di spumante. Alla fine uno spettacolo più divertente di quanto mi sarei aspettato. 8/10
- Big Brave Per il mio gusto il suono dei Big Brave è uno dei più belli mai ascoltati. Il loro mix di Neurosis, Melvins, Sunn O))), Sonic Youth, Godspeed You Black Emperor con voce femminile straziata è la perfetta fusione di tutto ciò che mi piace nella musica. Ecco perchè adoro ogni loro disco e non trovo cedimenti ispirativi fra un lavoro e l'altro. Purtroppo non ho mai avuto il piacere di vederli e dopo questo concerto ammetto che mi piacerebbe recuperare ogni tappa del loro tour passato, presente e futuro. La formazione è a quattro (c'è un inquietante bassista nerd che probabilmente in vita sua ha ucciso almeno un paio di persone) e sul palco c'è un bel muro di amplificatori. Di concerti ne ho visti un po' in vita mia ma questo è senza dubbio fra i migliori (se non il migliore in assoluto). Il sound dei dischi sul palco dello 013 prende vita: il chitarrista Mat Ball è un Thurston Moore dello sludge mentre la cantante Robin Wattie ha finito il concerto in lacrime. La batterista è una degna erede di Dale Crover versione Bullhead. Potrei andare avanti per ore a tesserne le lodi ma mi limito a dare il pieno dei voti. 10/10
- Wayfarer Visti al volo ma il loro mix di black metal e Morricone non mi ha colpito abbastanza da restare a vedere tutto il set. s.v.
- Zola Jesus Secondo pacco del festival dopo Deafkids e Duma è quello di Zola Jesus. Per qualche motivo oscuro si presenta con una band imbarazzante e totalmente fuori dai soliti registri della cantautrice dark. Il set è tutto virato su un tentativo di fare rock senza che nessuno le abbia mai chiesto di farlo. La voce di Nicole è stupefacente ma è totalmente fuori livello rispetto alla musica. Aggiungiamo poi dei problemi tecnici e ringraziamo che c'era di meglio da vedere su un altro palco. 4/10
- Mamaleek Quattro amabili cialtroni che mescolano sludge grasso e jazzate di qualità. Conciati come quattro serial killer da film horror di serie Z i nostri stupiscono coloro che non li avevano mai ascoltati su disco. Il problema, se mai ce ne sia uno, è che conoscendo bene i loro dischi mi sono perso l'effetto sorpresa della proposta. Ma poco male: pur cialtronissimi i Mamaleek sono dei musicisti di qualità e hanno saputo tenere il palco per quaranta minuti senza cedimenti. 7/10
- Mat Ball Dopo essere stato estasiato dal set dei Big Brave decido di dare un'occhiata al concerto solista del chitarrista prima di tornare a rockeggiare. Tre amplificatori, effetti e una chitarra: cosa volete che faccia se non drone metal? Una sorta di incrocio soft fra Sunn e Earth. Una ragazza è svenuta durante l'esibizione: garanzia di qualità. 6/10
- Cave In Ero dubbioso se vedere o meno il secondo set ma poi ha prevalso l'amore. E non me ne pento perchè l'esibizione completa di "Heavy Pendulum" ha cementato l'opinione che avevo di un disco di qualità, l'ennesima svolta della band che si infila fra lo sludge metal alla Mastodon e un'ipotetico alternative metal che potrebbe piacere ai fan dei Soundgarden più heavy. A lato del palco una divertita Emma Ruth Rundle si è goduta tutto il concerto. E con lei, noi. 8/10
- Afsky Ormai il festival è finito, giusto il tempo di vedere il set di Afsky, progetto black metal solitario di Ole Luk che qui si presenta con una band assemblata alla bisogna. Purtroppo al di là dell'impatto non rimane molto altro e la noia diventa molto presto fastidio. Peccato, ma è anche giusto che l'ultimo concerto sia uno dei più brutti. 4/10
[Dale P.]
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Recensioni dei protagonisti del concerto:
LIVE REPORTS
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